La nuova minaccia alla libertà in alcuni paesi è rappresentata dall’intelligenza artificiale generativa, l’allarme lanciato dalla direttrice dell’intelligence Usa Avril Haines sui nuovi strumenti usati dai regimi per reprimere e controllare cittadini e aziende, che in occasione di un seminario pubblico a New York ha sottolineato in un intervento riportato da Repubblica come “L’IA sta diventando l’arma preferita dai regimi autoritari per la repressione digitale“. Se le tecnologie hanno infatti implementato l’informazione e il dibattito pubblico in alcuni paesi, in altri invece stanno limitando la libertà di espressione e alimentando la manipolazione delle notizie.
Lo sviluppo di questi sistemi sempre più avanzati può diventare un serio pericolo quando i dissidenti diventano obiettivo dei governi, che usano gli algoritmi per controllarli, minacciarli e far ritorcere contro di loro le azioni o quello che dicono. E non solo, come sostiene Haines, l’IA ha anche grande potenziale per aumentare il livello della disinformazione a livello globale e può avere influenza su larga scala arrivando a censurare le informazioni che dovrebbero essere accessibili.
Intelligence USA “L’IA è una minaccia per i cittadini nei paesi a regime totalitario”
In base a quanto dichiarato dalla direttrice dell’intelligence statunitense Avril Haines, l’intelligenza artificiale sta trovando sempre più impiego nei regimi totalitari come arma di controllo sulle masse e per monitorare eventuali dissidenti. In Cina i maggiori problemi, perchè il governo controlla tutto tramite internet, a partire dagli spostamenti in auto collegate sempre alla rete, fino a raccogliere i dati di tutti i cittadini. In questo modo si possono poi attuare azioni repressive contro la popolazione. E la stessa cosa accade in Russia, che usa l’IA per manipolare l’informazione e produrre fake news per preservare l’ideologia interna.
Ad esempio, ricorda Haines come da Mosca abbiano sfruttato i deep fake per far credere che la nave Moskva nel Mar Nero si fosse incendiata a causa una tempesta, per non rivelare l’attacco dell’esercito ucraino. Un attività di repressione che viene coadiuvata anche dalle leggi, per esempio quella che prevede 15 anni di prigione per chi diffonde notizie sulla guerra, o l’obbligo di registrare al governo qualsiasi sito internet per permettere il controllo dei contenuti.