Secondo molti analisti, alla luce dell’iniziativa assunta dal ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, di telefonare al suo collega cinese, Wang Yi, Pechino è l’unica realtà politica al mondo in grado di poter intervenire per fermare Putin. Dopo aver inizialmente sostenuto la Russia, adesso la Cina sembra allontanarsi, tanto che proprio Wang Yi – che ha mantenuto la stessa posizione da prima dell’inizio della crisi – ha usato per la prima volta, in comunicazioni ufficiali cinesi, la parola zhan shi, “guerra”, finora mai menzionata.
Secondo Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, “è ancora prematuro parlare di svolta. Da tempo Cina e Ucraina hanno importanti relazioni commerciali e questo sicuramente ha fatto sì che il ministro degli Esteri ucraino abbia potuto godere di un canale privilegiato”. La Cina poi, ci ha detto ancora Introvigne, “sta prendendo atto della reazione compatta e unitaria di quasi tutto il mondo contro Mosca, cosa che nessuno si aspettava fosse così massiccia. E Pechino non ama stare dalla parte dei perdenti, perché ne pagherebbe le conseguenze”.
Come giudica la telefonata intercorsa tra il ministro degli esteri Ucraino e il suo omologo cinese? Ritiene che la Cina si muoverà davvero per cercare di fermare Putin?
Teniamo presente un dato di fondo. Tra Ucraina e Cina ci sono relazioni commerciali molto importanti, Pechino è uno dei maggiori partner, se non il primo, di Kiev. Anche se sono guidati da schieramenti politici diversi, tuttavia i due paesi sono legati da rapporti economici molto forti. Proprio per questo, a differenza di altri paesi dell’Est europeo, l’Ucraina non si è mai fatta promotrice né ha partecipato a manifestazioni di protesta per la censura dei diritti umani in Tibet o nello Xinjiang.
Kuleba però ha chiesto esplicitamente a Wang Yi di intervenire. Questo significa qualcosa o no?
Certamente, visto che da questo legame discendono contatti aperti. Del resto, se la Cina, da una parte, si sente impegnata a sostenere le critiche che Mosca rivolge nei confronti della Nato e degli Stati Uniti, dall’altra si chiede se, alla fine, tutta questa faccenda della guerra le si potrà ritorcere contro.
In che senso?
Si sta creando uno schieramento mondiale contro la Russia molto più esteso e coeso di quello che tutti si attendevano. La Cina non vuole mai stare con la parte minoritaria o perdente. E poi si è verificato un episodio significativo nei giorni scorsi, di cui parleremo approfonditamente su Bitter Winter.
Quale?
Un documento pubblicato da cinque accademici cinesi, di cui uno di Hong Kong e gli altri strettamente legati al Partito comunista, è diventato virale sui social cinesi per un po’ di tempo, poi è stato fatto cancellare. Ma in questo documento gli accademici hanno preso posizione contro la Russia, affermando che nessuna giustificazione può fare da pretesto per un attacco a un altro paese.
Quanto può aver pesato questo documento sull’opinione pubblica cinese?
Bisogna tener presente che in Cina non esiste un’opinione pubblica indipendente, tutti i giudizi di politica interna e internazionale devono prima essere sottoposti al vaglio del Partito comunista, che deve preventivamente approvarli. Il fatto che dei professori molto noti si espongano significa che dietro a loro c’è un’opinione che non simpatizza con la Russia. Nel corso della storia, poi, russi e cinesi raramente sono stati amici.
Alla luce della telefonata fra i due ministri degli Esteri, possiamo parlare di svolta?
Un importante commentatore americano, Bill Bishop, sostiene che non si tratti di una svolta che possa ipotizzare l’avvio di una mediazione diplomatica, ma certamente è un segnale in base al quale non dobbiamo considerare la Cina completamente appiattita sulle posizioni russe.
Tra l’altro la Russia espansionistica di Putin può essere pericolosa per la Cina anche in Asia, basti pensare all’invio di truppe russe quando si sono verificati incidenti in Kazakistan, non crede?
Certo, i cinesi sono in una posizione difficile. Da una parte hanno l’impulso di sostenere i russi contro gli americani, ma dall’altra hanno una opinione pubblica interna che è meno compatta di quello che si pensi, come dimostra l’appello che citavo prima.
Si è parlato di un sostegno economico cinese alla Russia, dopo le prime sanzioni imposte dall’Occidente. Conferma?
Questo sostegno c’è, la Cina rimane schierata contro l’Occidente e contro il ricorso alle sanzioni, che da anni colpiscono anche Pechino. Quando i cinesi sentono parlare di sanzioni, è come se immediatamente fossero stati colti dall’orticaria.
Un’eventuale sconfitta di Putin potrebbe significare un ulteriore indebolimento della Russia a livello geopolitico anche agli occhi della Cina?
I russi non si rendono forse conto delle analisi geopolitiche del Partito comunista cinese, che non assegnano alla Russia un posto di primo piano. La loro descrizione del futuro del mondo è basata sul confronto tra Cina e democrazie occidentali, compresi Australia e Giappone. La Russia viene vista un po’ come altri paesi, per esempio il Pakistan, cioè un possibile alleato, pur non rivestendo ai loro occhi un ruolo significativo. Nel terzo documento sulla storia del Partito comunista che ho analizzato a fondo, non si parla mai della Russia, si parla dell’Unione Sovietica.
(Paolo Vites)
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