«Soldi ai nostri atenei: così Pechino cerca tecnologia»: un plauso a “Repubblica” per aver ospitato in prima pagina oggi l’allarme lanciato dai servizi segreti sulla strategia che la Cina starebbe mettendo in campo per ovviare ai (duri) ‘stop’ del Governo Draghi nelle relazioni tra Pechino e Roma rispetto al recentissimo passato (leggasi governi Conte-1 e Conte-2).



In sostanza, l’allarme riguarda i tentativi fatti dal regime cinese di finanziare le Università italiane in cambio di tecnologie e “know how” senza eccessivi controlli. Ne dà notizia il dossier di Foschini e Vitale su ‘Rep’, citando per l’appunto fonti 007: «intensificare scambi e partnership con le nostre università, incrementando progetti e centri di ricerca. Il tutto senza alcuna regolamentazione, tant’è che neppure il ministero per l’Università e la Ricerca possiede una mappa di tali “alleanze”». Dopo lo stop di Draghi alle aziende cinesi per la gara del 5G (Huawei e Zte) e dopo l’indagine fatta scattare in merito alla vendita di una società di droni militari – la Alpi Aviation – ad aziende poi scopertesi legate a Pechino, i rapporti commerciali e strategici tra Cina e Roma si sono evidentemente raffreddati. Da qui la “strategia” insistente di Xi Jinping di trovare altri modi, magari meno ‘appariscenti’, per intavolare trattative e vantaggi.



L’ALLARME PER LA STRATEGIA DI PECHINO SUGLI ATENEI ITALIANI

Qualche esempio fatto da ‘Repubblica’ dà l’impressione della situazione attualmente in corso sul fronte università: «Huawei è il principale sponsor di una collaborazione sul 6G tra l’University of Electronic Science and Technology of China e il Politecnico di Milano», scrivono le colleghe di ‘Rep’. Tra l’altro, proprio con questi accordi il progetto del cloud europeo vede la Cina comunque in ruoli di primissima fila: «sponsorizzazioni universitarie da parte di aziende cinesi, come Zte e Huawei, fino al punto di suscitare interrogativi sulle implicazioni per l’interesse nazionale dell’Italia e la sicurezza dei suoi alleati occidentali», lo si legge in un paper del responsabile di ricerca per  l’Asia orientale presso l’Istituto Affari Internazionali – Nicola Casarini – sul tema della Cooperazione Cina-Italia. Lo stesso professore a ‘Repubblica’ spiega come «I nostri atenei sono afflitti da un’endemica penuria di fondi e il fatto che ne arrivino da aziende offre la possibilità di portare avanti progetti che altrimenti non si potrebbero realizzare. Il rovescio della medaglia è che non si tratta di beneficenza: la Cina vuole in cambio tecnologia e know how senza troppi controlli». Altre collaborazioni oltre al Politecnico vedono ad esempio l’Università di Cagliari in stretta alleanza sempre con Huawei, così come a Pavia è recentissima l’Innovation Lab, un parco tecnico-scientifico con investimenti da 1,7 milioni di euro. Zte invece in Italia vede presenze sia a Milano, a Torino che a Roma: «sta realizzando reti 5G e smart city in alcune città insieme con Wind Tre e Open Fiber. Ha in piedi accordi con l’università de L’Aquila, Tor Vergata e Torino», conclude ‘Rep’. Come ha raccontato di recente al ’Sussidiario.net’ Antonio Selvatici, giornalista e docente al Master di Intelligence economica presso l’Università degli Studi di Tor Vergata, gli Istituti Confucio in Italia sono presenti in 12 università: «hanno lo scopo di promuovere la lingua e la cultura cinese. Il problema sorge quando, dando un’occhiata ai loro corsi e programmi, si nota che argomenti come diritti umani, libertà religiosa, Tibet o Hong Kong non vengono mai trattati. I cinesi seguono strategie che noi italiani non abbiamo, ma soprattutto hanno soldi da investire nella ricerca, che i nostri ministeri invece non hanno o non vogliono spendere».

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