Una delle questioni geo-economiche maggiormente sottovalutate è quella del rapporto che lega Germania e Cina. Una relazione destinata a condizionare le relazioni internazionali nel medio e nel lungo periodo.

Quando l’8 dicembre Olaf Scholz è stato nominato Cancelliere federale della Germania, il presidente cinese Xi Jinping è stato fra i primi a inviargli un messaggio di congratulazioni. Molto raramente il governo cinese ha salutato così velocemente l’elezione di un capo di Stato occidentale, palesando l’alto livello di interesse di Pechino per l’andamento della transizione di potere che ha seguito l’uscita di scena di Angela Merkel.



Xi, dichiarando apertamente di attribuire grande importanza all’evoluzione delle relazioni sino-tedesche, ha semplicemente reso ancora più chiara l’importanza di un legame molto stretto, in cui la Germania è il più grande partner commerciale cinese e, dopo quello Usa, il più grande mercato di esportazione. Una relazione commerciale solidissima, ma le cui implicazioni rappresentano una questione di difficile soluzione.



La Cina ha bisogno della Germania per una serie di ragioni in cui è difficile separare l’aspetto puramente economico da quello geopolitico. La strategia della “dual circulation” con cui il governo cinese vuole riorientare in senso domestico la propria economia, puntando sui consumi interni, per non essere dipendente dalle esportazioni straniere, ha bisogno di attirare capitali con cui finanziare i processi di innovazione e tecnologie con cui accelerare il rinnovamento delle sue imprese. Il piano “Made in China”, con cui Pechino punta ad avere il primato tecnologico su scala globale non può essere realizzato senza l’accesso alle eccellenze tedesche, come ha dimostrato l’acquisizione da parte di Midea Group di Kuka Robotics, leader a livello globale nel campo della robotica.



Inoltre, i cinesi hanno bisogno che le imprese tedesche non abbandonino i loro confini nazionali. A tal riguardo il caso della Bmw nella città di Shenyang dimostra come il rapporto sino-tedesco fino a questo momento si sia basato su un solido scambio di convenienze. Come è noto, la Cina è ormai il mercato più grande della Bmw, arrivando nel 2021 a registrare il record di 846.237 Bmw e Mini vendute, rendendo la provincia di Liaoning la più grande base di produzione mondiale dell’azienda bavarese.

Ma le cose potrebbero cambiare: come si può leggere nel recente sondaggio annuale – citato dal “South China Morning Post” – della Camera di commercio tedesca in Cina sul livello di fiducia, sono sempre di più le imprese che denunciano “una disparità di trattamento” rispetto alle imprese cinesi nell’accesso agli appalti pubblici, nell’acquisto di beni e servizi e nel costo della manodopera. Una situazione che è destinata a peggiorare, a causa della sempre più consolidata strategia cinese che punta all’autosufficienza tecnologica. Un atteggiamento che potremmo definire predatorio nei confronti delle imprese tedesche che, però, potrebbe aver segnato il passo a fronte di una postura del governo cinese che, se da un lato ritiene il rapporto con le imprese tedesche di una valenza strategica fondamentale, non ha dall’altro alcuna intenzione di rinunciare a impostare la sua relazione speciale con la Germania sui rapporti di forza.

La questione lituana può essere un banco di prova decisivo per le relazioni sino-tedesche. La decisione del governo lituano di autorizzare l’apertura di un ufficio di rappresentanza di Taiwan ha immediatamente fatto precipitare i rapporti con la Repubblica Popolare Cinese, la quale ha avviato una dura rappresaglia, obbligando le multinazionali a scegliere fra il mantenimento dei rapporti con il paese baltico e l’accesso ai suoi mercati nazionali. Una situazione che impatta fortemente le imprese lituane, che sono parte integrante delle catene di approvvigionamento dell’economia tedesca e che mette in difficoltà realtà come Continental, Volkswagen e Bmw. In definitiva, la questione lituana rischia di riverberare le sue tensioni sulla relazione sino-tedesche caratterizzate da un’ambiguità di fondo e che al momento si trovano in una situazione di stallo, i cui esiti al momento sono difficilmente immaginabili.

Il nuovo ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, esponente di spicco del partito dei Verdi, rappresenta una discontinuità rispetto all’atteggiamento del governo Merkel nei confronti della Cina. In un’intervista rilasciata a Washington il 5 gennaio ha dichiarato di non voler transigere su questioni valoriali e dei diritti umani. Un atteggiamento ben diverso da quello di Scholz che si è tenuto alla larga dal prendere posizione sulle questioni dello Xinjang e di Hong Kong e, in una recente telefonata con Li Keqiang, ha sostanzialmente ribadito l’imprescindibilità per le due economie del mantenimento di buoni rapporti fra le due nazioni.

Ambiguità di cui prima o poi l’amministrazione Biden chiederà conto e che la Germania sarà costretta ad affrontare, approntando, finalmente, una strategia di lungo periodo non più basata esclusivamente sulle convenienze della contingenza.

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