Nella sua strategia di comunicazione, la Cina ha attraversato la civiltà, la colonizzazione e le sue conseguenze per raggiungere la sensibilità degli africani. E per questo Pechino manipola abilmente lo stigma della colonizzazione e i suoi sforzi a favore della decolonizzazione.
Nel 1964, durante la sua visita in Mali, il premier cinese Zhou Enlai disse: “Dopo aver aiutato l’Africa a raggiungere l’indipendenza politica, la Cina è pronta ad aiutare l’Africa a raggiungere l’indipendenza economica e lo sviluppo”. Nello stesso spirito, nel 1978, il Partito comunista cinese si è impegnato a cooperare con i partiti politici africani nelle lotte comuni per l’emancipazione e lo sviluppo con slogan incentrati su “rispetto reciproco, uguaglianza e non ingerenza”. Nel 2013, durante la sua visita in Tanzania, Xi Jinping non ha mancato di dichiarare che “Cina e Africa sono sempre state una comunità di destino, con le stesse vicissitudini storiche, gli stessi compiti di sviluppo e gli stessi interessi strategici che ci uniscono strettamente”, aggiungendo poi che “la strada sarà lunga e tortuosa e le difficoltà reali. Ma le differenze e le dissomiglianze devono trasformarsi in un volàno per realizzare uno sviluppo comune. Solo così, nel giardino mondiale delle civiltà, cento fiori possono competere in splendore e splendore”.
Questo è il linguaggio che si trasmette in Africa, continente afflitto da colpi di Stato, difficoltà economiche e neocolonialismo che si riflette nei programmi di aggiustamento strutturale. Questo discorso della Cina da un sud ex colonizzato mira a neutralizzare l’influenza delle potenze europee e a ridurre la loro presenza all’unica sfortunata storia coloniale. In breve, la Cina è riuscita a fare la differenza posizionandosi come l’erede della lotta anti-coloniale e anti-imperialista. Per continuare la sua offensiva africana e convincere i decisori, la Cina ha accuratamente progettato una strategia di lobbying per soddisfare le sue ambizioni.
La diplomazia cinese
L’approccio diplomatico è iniziato con visite ufficiali a partire dagli anni 60, mentre a metà degli anni 90 è stato più intenso con le visite del presidente cinese in diverse capitali africane. La Cina ne ha fatto un asse essenziale della sua strategia, al punto che ogni anno la sua prima visita ufficiale è dedicata al Continente nero.
Uno dei successi del lobbismo cinese in Africa resta senza dubbio il Forum sulla cooperazione tra l’Africa e la Cina (Focca). La piattaforma è un’opportunità per incontri tra capi di Stato africani e cinesi, una piattaforma di seduzione, influenza e diplomazia pubblica. Inaugurato nel 2000 a Pechino, si tiene ogni tre anni, alternativamente in Cina e in Africa. Nel novembre 2006, a Pechino, ha avuto l’aspetto di una festa particolarmente pomposa. Nelle strade, sugli edifici, nei ristoranti, ovunque in città, i simboli africani si sono accostati a quelli della Cina. Le autorità cinesi hanno fatto di tutto per celebrare l’amicizia cinese e i 50 anni di cooperazione con il continente, sotto lo slogan “Amicizia, cooperazione, pace e sviluppo”. Nel 2009, a Sharm El-Sheikh, in Egitto, nel bel mezzo della crisi economica globale, la Cina ha rubato la scena ai suoi omologhi occidentali, annunciando 10 miliardi di dollari di aiuti. Non ha perso l’occasione, ancora una volta, per difendere il suo modello di sviluppo e criticare il fallimento del sistema imposto dall’Occidente.
L’ultimo incontro del Focca si è tenuto il 3 settembre 2018 a Pechino, in una cornice appositamente pensata per esaltare l’amicizia sino-africana. I leader africani hanno risposto tutti, tranne il monarca dello Swaziland. Il presidente cinese Xi Jinping ha elogiato, con tutte le qualificazioni appropriate per l’occasione, la grande famiglia sino-africana, impegnando ancora una volta miliardi di dollari per lo sviluppo dei loro paesi. Durante questo incontro, la Cina ha ricordato tutti i suoi ambasciatori in Africa. Nella sala conferenze è stato appositamente allestito un ufficio per offrire un’udienza ai funzionari africani, un incontro one-to-one che mirava a discutere del commercio e del partenariato economico. In precedenza, il 25 maggio 2007, Pechino aveva scelto, il giorno della creazione dell’Unione Africana, di annunciare una donazione di 150 milioni di dollari destinati alla costruzione del suo nuovo centro congressi.
Investimenti infrastrutturali cinesi
Progetti di investimento, infrastrutture, donazioni, aiuti, prestiti di ogni genere riflettono un altro aspetto del lobbying cinese in Africa. Negli ultimi 50 anni, le aziende statali cinesi hanno costruito o ristrutturato 186 edifici governativi in Africa, 14 reti di telecomunicazioni governative sensibili e apparecchiature informatiche per 35 governi e migliaia di chilometri di strade e ferrovie.
Inoltre, per cambiare l’immagine controversa della sua presenza in Africa, negli ultimi anni la diplomazia di Pechino in Africa ha integrato reti di informazione e disinformazione formate dai classici ripetitori, dalla diaspora cinese, dai diplomatici, dagli accademici, per veicolare il messaggio dei cinesi e poter tutelare i propri interessi.
La presenza cinese in Africa
Il lobbismo cinese in Africa è molto dinamico, al punto che tendiamo a credere che gli occidentali siano sempre più disinteressati all’Africa. L’avanzata cinese appare metodica e la sua strategia non lascia nulla al caso. Così in campo culturale, gli Istituti Confucio, vero successo del soft power cinese, creati a partire dal 2004, costituiscono un vettore di avvicinamento dei popoli africani alla cultura cinese. A differenza dei centri culturali americani, dei centri culturali francesi, degli istituti Goethe e del British Council, gli Istituti Confucio sono un asse essenziale della strategia cinese.
In campo accademico, dal 1950, in Cina sono stati formati più di 18mila accademici africani. Parlando la lingua cinese, hanno anche familiarità con la cultura cinese e fungono da intermediari nelle nuove relazioni tra Cina e Africa. Inoltre, sono stati avviati programmi di formazione per le élite africane, in particolare nei settori delle telecomunicazioni (Huawei, Zte) e dell’energia idroelettrica (Sinohydro). Ogni anno Zte forma migliaia di dirigenti africani in 15 centri dedicati.
Le relazioni tra Cina e Africa si sono gradualmente evolute dalla politica all’economia. Le aziende cinesi stanno diventando sempre più numerose in Africa, così come gli interessi. Sono nel mirino di gruppi armati che li attaccano e prendono in ostaggio i loro dipendenti. Pechino deve quindi proteggere i suoi interessi, le sue operazioni minerarie e petrolifere e anche i suoi lavoratori nelle aree a rischio.
(1 – continua)
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