La Libia è divisa, in cerca di una unità difficile da raggiungere. Ricca grazie al petrolio, nonostante le sue carenze strutturali anche relative allo sfruttamento dell’oro nero, è diventata un mercato appetibile per molti attori. Non ha problemi di disoccupazione, anzi offre lavoro a egiziani, africani in genere, e a persone che arrivano dal Bangladesh, impegnate nella ricostruzione di Derna, devastata dall’alluvione, e non solo. Insomma, un Paese dalle mille contraddizioni, in cui anche l’Italia ha forti interessi, ma sul quale hanno messo gli occhi da tempo non solo i russi, ma anche i tedeschi, i sudcoreani, gli egiziani e i cinesi.



Proprio loro, spiega Ibrahim Magdud, intellettuale e arabista libico, stanno riallacciando rapporti relativi a vecchi contratti non realizzati fino in fondo, facendosi pagare i debiti dai libici e avviando nuove opere, soprattutto nel campo della grande edilizia. In questo contesto di apertura del Paese agli investimenti stranieri si colloca però una notizia niente affatto tranquillizzante che viene da Gioia Tauro, dove la Guardia di Finanza ha sequestrato un carico di componenti per droni bellici provenienti dalla Cina “camuffati” da componenti per turbine eoliche. Un tipo di commercio del quale non c’erano tracce finora in Libia e sul quale le autorità italiane stanno ponendo la loro attenzione.



La Libia commercia con la Cina anche per le armi?

Forse l’episodio scoperto in questi giorni può essere spiegato facendo riferimento a qualche triangolazione: potrebbero essere prodotti che dalla Cina vengono commercializzati in qualche altro Paese e poi finiscono in Libia. È la prima volta, comunque, che sento parlare di armi o di componenti di armi cinesi in arrivo nel Paese.

I cinesi comunque sono presenti in Libia? Che tipo di affari stanno cercando di sviluppare?

Hanno un ruolo importante nella ricostruzione di Derna dopo l’alluvione. Ci sono però anche tante delegazioni di società cinesi che sono tornate sul territorio libico per riprendere i lavori che avevano lasciato incompiuti. Alcune aziende lavoravano qui già ai tempi di Gheddafi: sono stati ripresi i vecchi contatti. Alla fine del mese di maggio Dbeibah (il primo ministro del governo di unità nazionale di Tripoli, nda) è andato in visita in Cina dove, in occasione della riunione ministeriale del Forum Cina-Stati Arabi, ha incontrato il premier cinese Li Qiang. Si è parlato proprio delle società cinesi e della ripresa di lavori che sono stati interrotti. Riguardano soprattutto l’edilizia, alberghi o abitazioni. Stanno discutendo, anche perché ci sono debiti che non sono ancora stati pagati a queste società. Ci sono, insomma, una serie di questioni da mettere in ordine per riprendere il lavoro. Vale per i cinesi e anche per i sudcoreani. Entrambi ora stanno cercando di finire le opere che erano state appaltate prima. Parliamo di grande edilizia, palazzi, complessi abitativi.



Non si occupano, comunque, di infrastrutture come autostrade o ferrovie?

Da questo punto di vista c’era un vecchio accordo con l’Unione Sovietica e con l’Italia, che doveva fornire le strutture tecniche per le autostrade. Poi nel 2011 si è fermato tutto. C’erano contratti con molti Paesi, anche con la Germania, che doveva occuparsi delle centrali elettriche. I tedeschi hanno già ripreso a lavorare in questo campo.

I cinesi hanno un ruolo anche nella ricostruzione di Derna?

Sono già al lavoro per questo. Lavori grossi, c’è da rifare tutto. Hanno cominciato gli egiziani con le strade e già hanno finito tutto.

La manodopera che usano è libica?

No. Ci sarà qualche libico che lavora con loro, qualche ingegnere, ma la maggior parte delle maestranze sono cinesi o immigrati africani o del Bangladesh. La presenza cinese a Derna è molto consistente, si tratta di appalti con cifre a nove zeri. In Libia c’è un problema di occupazione, di personale da trovare, non di disoccupazione. La maggior parte delle persone che lavorano qui sono egiziane, ce ne sono quasi due milioni. Poi, appunto, ci sono altri africani o, appunto, bengalesi.

La presenza della Cina, comunque, per ora è legata sostanzialmente all’edilizia. Il fatto che abbia buoni rapporti con la Russia non ha portato a operare in sinergia, visto che almeno in Cirenaica i russi sono molto presenti?

No, semplicemente prendono appalti relativi ad aree specifiche e costruiscono secondo quanto prevede il loro contratto. Stavolta però pongono la condizione che vogliono essere pagati prima di cominciare, per non accumulare nuovamente crediti nei confronti dei committenti, come è successo in occasioni precedenti. Si tratta comunque di appalti miliardari.

(Paolo Rossetti)

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