Caro direttore,
dunque sono arrivati anche i cinesi, o meglio i loro dodici punti di un piano di pace. Loro non hanno bisogno di fare la guerra per conquistare il mondo. Per la verità il Tibet l’hanno già occupato senza che si facesse troppo clamore.
L’Africa, impoverita dai travagli del post-colonialismo, se la stanno comprando ad un prezzo di svendita. Lo stesso stanno facendo, poco a poco, in Europa ed in America cominciando dai ristoranti, dai negozi di abbigliamento e, magari come a Venezia, anche dai chioschi che vendono giornali e altro. Non parliamo poi dell’alta finanza, di cui personalmente non so quasi nulla, tranne che, tra l’altro, sono arrivati a comprare la mia Inter.
Del resto, come ho già scritto tempo fa, un Paese che noi ci ostiniamo a chiamare Cina e che nella sua lingua si definisce Zhong Guo (cioè “Paese che sta al mezzo”, naturalmente al centro del mondo) non poteva non sentirsi protagonista del terzo millennio.
E così è arrivato il loro piano di pace. Scorrendo questi dodici punti si ha l’impressione che per la verità il piano contenga sostanzialmente affermazioni di principio largamente condivisibili, ma un po’ scontate. Quanto alla proposta dello scambio dei prigionieri o della libertà del commercio del grano è difficile essere in disaccordo, anche se resta poi da precisare come realizzare le iniziative necessarie.
C’è però un punto, il decimo, quello sulle sanzioni, che potrebbe suggerire qualche sviluppo positivo per chi desidera la pace. Finora, in effetti, da parte dell’Occidente è stato ed è in atto un processo di continuo aumento delle sanzioni. I risultati non sembrano esaltanti, anzi molta gente, soprattutto in Europa, comincia a pensare che a perderci siamo soprattutto noi.
Certo le sanzioni sono state concepite come forma di pressione, ma se la pressione fosse praticata “a scalare”? Per capirci: se fate una tregua, vi concediamo la Nutella, se vi ritirate un po’ da Zhaporizhzhia, vi inviamo anche il Parmigiano Reggiano, e così via.
Lo so che sulla guerra non bisogna scherzare, ma gli esempi un po’ assurdi li ho fatti per qualche mia amica lettrice poco esperta di commercio internazionale. Gli esperti, i competenti, capiscono bene quello a cui mi riferisco.
Chi lo dice che una prova di buona volontà sia per forza una prova di debolezza? Eppoi non vi viene in mente il pericolo che per essere giusti si possa pensare di dover essere più forti e più cattivi del nemico ingiusto?
Scusate ma qualche briciola di cristianesimo mi è rimasta ancora addosso. Per fortuna.
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