LE RARE PROTESTE IN CINA CONTRO IL REGIME COMUNISTA: COSA STA SUCCEDENDO

Vedere protestare in piazza contro il Governo della Cina fa un effetto del tipo “mai visto”, o peggio del tipo “chissà ora cosa potrà accadere ai manifestanti”. Il motivo è molto semplice: il regime comunista popolare cinese, che da poco ha rinnovato per il terzo mandato consecutivo il Presidente Xi Jinping, non ammette i principi minimi della libertà personale e di critica. Eppure per una volta, dopo 2 anni di condizioni umanitarie costantemente calpestate sul fronte delle regole Covid, la ribellione del popolo ha avuto la “meglio” sulla censura di Pechino: con il ritorno dei contagi da Covid-19 su larga scala – che consacrano, una volta di più, l’assoluta inefficacia della politica “Covid zero” – sono riparte le repressioni durissime con regole e restrizioni imparagonabili con il resto del mondo. Questa volta però da Pechino a Shanghai, da Wuhan a Chengdu fino a Urumqi, la gente è scesa davvero in piazza e in protesta molto netta contro il PCC.



«Gli studenti hanno iniziato a mostrare dei cartelli all’ingresso della mensa, poi si sono aggiunte sempre più persone. Abbiamo cantato l’inno nazionale e l’Internazionale e abbiamo gridato ‘la libertà prevarrà’», racconta un ragazzo davanti all’università Tsinghua di Pechino dove è stata inscenata una lunga protesta contro le restrizioni anti-Covid imposte dal Governo Xi Jinping. Contro il loro stesso Presidente, in una delle rarissime contestazioni viste (e sfuggite alla censura del PCC, ndr) in questi anni: «Xi dimettiti! Serve più democrazia», lamentano dalle piazze di mezza Cina. Si tratta del movimento (già ridenominato “dei fogli bianchi”) di protesta più importante dai tempi della strage di Piazza Tienanmen: basta lockdown, basta restrizioni “coatte” contro la popolazione e basta soprattutto abbattimento delle libertà anche più semplice dei cittadini. Sembra qualcosa di scontato e “minimo” ma nella Cina comunista del 2022 vedere queste proteste, lo ribadiamo, fa una certa impressione.



COS’È LA PROTESTA DEI FOGLI BIANCHI IN CINA E PERCHÈ HA DOPPIO SIGNIFICATO

Uno dei primi effetti a “sorpresa” dopo l’ondata di proteste montata sui social e poi sfociata in piazza, è la decisione senza precedenti presa dalla provincia nord-occidentale cinese dello Xinjiang: nella capitale regionale Urumqi l’autorità cittadina ha deciso di ridurre alcune restrizioni anti-Covid. Come riporta l’ANSA, «I residenti di Urumqi, alcuni dei quali sono stati confinati nelle loro case per settimane, potranno viaggiare in autobus per fare acquisti nei loro quartieri a partire da domani, hanno annunciato i funzionari in una conferenza stampa lunedì». È un piccolo simbolo di qualcosa che però sta (forse) cambiando nel rapporto complesso tra il miliardo di cinesi e il potere dittatoriale guidato dal Partito Comunista Cinese. La chiamano la “protesta dei fogli bianchi” perché i manifestanti in giro per mezza Cina effettivamente sbandierano dei fogli di carta bianca, colore in Cina per il lutto che significa un segnale deciso di protesta contro la censura imposta dal regime.



Nacque tutto pochi giorni fa proprio a Urumqi dove 10 persone erano morte per un incendio in un edificio dove non erano riuscite a scappare proprio a causa delle restrizioni contro il coronavirus. Ebbene, il foglio bianco porta con sé due significati entrambi dirimenti: il primo è appunto il lutto con cui i cinesi vogliono ricordare le vittime di quell’insensata tragedia avvenuta a Urumqi. Ma il significato principale è quello di una protesta decisa contro la censura: «Il foglio bianco rappresenta tutto ciò che vogliamo dire ma che non possiamo dire», ha spiegato un ragazzo che manifestava in piazza a Pechino, riportato dalla Reuters. Significativo poi che la “culla” della protesta sia avvenuto proprio nella regione dello Xinjiang, laddove il sistema di sorveglianza di massa è ancora più rigoroso e dove il governo di Xi Jinping è da anni accusato di detenere fino a 2 milioni di uiguri e altre minoranze etniche in campi di concentramento (con denunce di abusi, maltrattamenti, privazione delle libertà basilari).