Xi Jinping, il leader dello Stato più potente dopo gli Stati Uniti, arriva a Mosca per incontrare Putin, presidente dell’ex impero sovietico, impegnato e impelagato in una guerra che doveva essere breve, e inseguito dal Tribunale penale internazionale. È la prima visita in Russia del presidente cinese dopo l’invasione dell’Ucraina.
Se le aspirazioni di entrambi i Paesi sono imperiali, le capacità sono ben diverse. Entrambe potenze che hanno un seggio nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, entrambe dotate di testate nucleari, il loro peso economico, industriale, finanziario, demografico, scientifico e tecnologico è assolutamente diverso. Rappresentante di una potenza in ascesa, Xi Jinping scende dall’aereo vantando un successo internazionale straordinario, che nessun analista aveva previsto, la riapertura dei rapporti diplomatici tra Iran e Arabia dopo sette anni di tensioni, anche militari, quasi allo scontro ravvicinato in Yemen. È bene sottolineare che questa opera di mediazione segna una svolta nella politica estera di Pechino, perché è atto che forse per la prima volta in modo anche simbolico, oltre che strategico, avviene al di fuori di un contesto meramente mercantile (ma non scordiamoci né dei porti né del petrolio di cui questi Paesi sono dotati e di cui la Cina ha un bisogno assoluto).
La guerra in Ucraina per la Cina rappresenta una minaccia ed una opportunità. Minaccia da un punto di vista economico, perché il conflitto ha bloccato il corridoio terrestre della Via della Seta, per intenderci la ferrovia che avrebbe dovuto connettere Cina, Russia, Ucraina, Bielorussia e Polonia. Minaccia, perché comunque l’invasione russa mette in discussione il principio cardine – l’inviolabilità dei confini – del modo di intendere i rapporti tra Stati da parte di Pechino. Minaccia, perché decisione assolutamente grave presa da altri.
Allo stesso tempo, la guerra è per i cinesi una grossa opportunità. Innanzitutto, tiene gli americani impegnati con le questioni europee, e se non riesce a distrarli completamente dal quadrante indo-pacifico, li costringe comunque a dividere risorse e attenzioni. In secondo luogo, getta una Russia indebolita sempre più bisognosa di supporto economico, militare e politico nelle braccia di una Cina che non le è mai stata amica né vicina, che ha sempre visto prima la Russia zarista e in seguito l’Unione Sovietica come potenza occidentale colonialista in termini di politiche territoriali e culturali. Adesso che la Russia, come dicono gli americani, è una “stazione di benzina” dotata di armi nucleari, i cinesi possono acquistare a prezzi super vantaggiosi petrolio, gas, terre rare. Questa nuova situazione apre uno scenario geopolitico del tutto nuovo, fa diventare la Cina la potenza leader di un futuro blocco russo-asiatico intorno a cui ruotano satelliti centro-asiatici e nuove potenze regionali, dalla Turchia all’Iran, e – perché no? – anche la difficile e autonoma India.
A questo punto della guerra, però, il gioco cinese si complica, perché si trova in mezzo a due strade. La Russia ha bisogno di armi, di rifornimenti di munizioni, di elettronica. Xi Jinping può dare tutto questo, ma a che prezzo?
La Cina vuole anche dimostrarsi leader che parla al mondo, che vuole la pace, che è portatrice di una nuova idea di ordine mondiale che superi la logica della guerra fredda e di un nuovo concetto di sicurezza globale (China Global Security Initiative) alternativo a quello occidentale di cui gli Usa sono i custodi e gli arbitri. E il successo, il sogno di Xi, sarebbe sicuramente tornare a casa con un accordo di cessate il fuoco tra russi e ucraini, alle spalle di Washington e Bruxelles, facendo finire per il Celeste Impero una volta per tutte “il secolo dell’umiliazione”.
L’altra strada, l’appoggio quasi incondizionato a Mosca, porterebbe infatti ad una escalation con gli americani e la Nato, le cui conseguenze sono difficili da immaginare, anche perché una potenza esterna ad un conflitto, come la Cina in Ucraina, non entra a cuor leggero in guerra a meno che non sia certa di trarne guadagni sicuri.
Scenario di difficile previsione, tanto più che proprio in questi giorni il segretario di Stato americano Anthony Blinken ha annunciato un nuovo pacchetto di aiuti militari per 350 milioni di dollari e l’Unione Europea ulteriori 2 bilioni di euro, sempre in armamenti.
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