Più che essere amici, difendono interessi comuni. E di sicuro si trovano dall’altra parte rispetto agli Usa. Cina e Russia negli ultimi giorni hanno ripreso a parlarsi ufficialmente grazie alla visita a Mosca di Wang Yi, incaricato da Xi Jinping di una missione diplomatica accompagnata anche da un piano di pace per l’Ucraina. Li accomunano interessi commerciali ma anche una visione del mondo alternativa a quella voluta dagli Stati Uniti. “Sono partner, commenta Serena Console, giornalista sinologa de Il manifesto e Today.it, non alleati”. Ecco cosa li accomuna.
Qual è in questo momento lo stato dell’arte dei rapporti tra Cina e Russia?
Il piano di pace cinese è un position paper, ci sono dodici punti ma ne presenta di molto generici. Vuole il dialogo, perché la Cina si presenta come possibile intermediario, ma alla fine promuove una visione che è sempre stata la stessa nell’arco di un anno. I rapporti tra i due Paesi non sono cambiati. C’è malcontento sul versante cinese perché l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia non era stata annunciata, ma di per sé i rapporti non sono cambiati nonostante Wang Yi, che è stato ministro degli Esteri e ora è capo della diplomazia del Partito comunista cinese, si sia recato in Russia dopo un tour in Europa: è venuto anche in Italia dove ha incontrato Tajani e Mattarella. Nell’incontro di Mosca tra Wang Yi, Putin e Lavrov è stato riproposto un rafforzamento della partnership tra Cina e Russia. E Vladimir Putin ha invitato nuovamente il presidente Xi Jinping a recarsi a Mosca.
Una partnership di che tipo, commerciale o anche militare?
Per ora commerciale. Ci sono sicuramente delle indiscrezioni, soprattutto gli Stati Uniti sostengono da giorni che i cinesi armano i russi, però fino ad ora non ci sono prove concrete. Ovviamente Pechino smentisce. La partnership quindi per ora è commerciale, determinata in particolare dalle vendite di gas e petrolio, c’è stato un incremento soprattutto nei confronti della Cina e dell’India, che come la Cina si è astenuta dal voto all’assemblea dell’Onu sulla risoluzione che prevede il ritiro della Russia dall’Ucraina. Le sanzioni europee hanno colpito le rendite di energia della Russia e quest’ultima si è vista costretta a rivolgersi a mercati alternativi.
Ma la strategia cinese qual è? A che cosa punta Pechino?
Fondamentalmente pa promuovere una stabilità mondiale. In un altro documento pubblicato martedì, il Global Security Initiative (Gsi), viene promossa una concezione della sicurezza globale alternativa a quella degli Stati Uniti, dove si rimarca il rispetto della sovranità nazionale, uno dei pilastri della politica estera cinese. Abbracciano una visione antiamericana. Ai cinesi non sta bene una situazione di instabilità, perché a prescindere dall’aspetto geopolitico ne fanno anche una questione economica.
Questa guerra rovina i loro piani dal punto di vista economico?
Sì. In questo contesto poi si inseriscono le sanzioni e le misure che l’amministrazione Biden ha adottato per limitare lo sviluppo tecnologico nell’ambito dei semiconduttori della Cina. Una serie di provvedimenti che impongono alla China di non esportare microchip. Anche in questo contesto c’è uno scontro non solo ideologico ma anche tecnologico.
Ci sono state, quindi, anche delle sanzioni contro di loro?
Sanzioni non proprio. C’è stata un’iniziativa, ad esempio, nei confronti di un’azienda che è stata accusata di aver venduto immagini satellitari al gruppo russo Wagner, che è impegnato in Ucraina. Alla Cina comunque fa gioco avere un attore come Putin, che non deve essere nemmeno tanto debole, perché Pechino cerca di posizionarsi come mediatore in questo contesto per ottenere anche un ruolo con l’Unione Europea, dato che ambisce ad avere maggior contatti economici con la Ue. La posizione della Cina in un anno di conflitto non è cambiata, rimane sempre ambigua, ondivaga. C’è da considerare che la Cina non parla di guerra in Ucraina, parla di crisi, di questione ucraina, non utilizza i termini che utilizziamo noi ma quelli usati dai russi. Questa narrazione propagandistica serve molto a mantenere un’ambiguità che è funzionale sia a non prendere una posizione, sia a mantenere diversi canali aperti con l’Unione Europea e la Russia.
Non c’è una strategia per creare un vero asse Mosca-Pechino?
L’allineamento sino-russo c’è stato e sicuramente si rafforza nel momento in cui comunque entrambi giustificano la guerra condannando l’espansione della Nato ad Est, nell’ex blocco sovietico, attribuendone la responsabilità agli Stati Uniti. In questo contesto va letto il Gsi, perché promuove un modello di sicurezza alternativo a quello proposto dagli Stati Uniti, soprattutto dopo che l’amministrazione Biden ha rimarcato la distanza tra sistemi totalitari e democrazia, un “noi e loro” che a Pechino non piace.
Nel recente discorso di Putin alla nazione si prefigura uno sviluppo dell’economia russa nell’area dell’Asia e del Pacifico. Vanno letti anche in questo contesto gli incontri recenti tra Cina e Russia?
Sì, perché quando Putin ha visto Wang Yi è stata rimarcata la crescita degli scambi commerciali che c’è stata nell’ultimo anno tra Cina e Russia.
La Cina diventerà sempre più un partner privilegiato per la Russia?
Privilegiato no. È una partnership che comunque fa comodo dal punto di vista politico e commerciale. Sicuramente c’è interesse da parte della Russia nei confronti della Cina e dell’India, per il Pacifico la vedo un po’ più difficile.
Ma alla fine come possiamo definire i rapporti sino-russi: amici ma non troppo, un’amicizia di convenienza dal punto di vista soprattutto commerciale, senza che diventi un’alleanza?
Commerciale ma anche ideologico e geopolitico. Sì, sono amici di convenienza. Non sono alleati: è meglio definirli partner.
(Paolo Rossetti)
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