La priorità della Cina è la sicurezza, non la crescita economica. Lo dimostra il giro di vite sulle società straniere, in particolare Usa, voluto dal presidente Xi Jinping, che ha affidato il delicato incarico a Chen Yixin, zar della sicurezza dello Stato cinese. Ne parla il Wall Street Journal, spiegando che in passato l’orientamento era quello di puntare sull’integrazione dell’economia cinese con quella degli Stati Uniti e di altri paesi occidentali, mentre ora la situazione è cambiata e si registra un netto atteggiamento di chiusura. La Cina ritiene, infatti, di dover fare di più per difendere la sicurezza ideologica ed economica, questione resa più urgente dal deterioramento delle relazioni con Washington, secondo persone che hanno familiarità col processo decisionale cinesi e con scritti e discorsi del presidente Xi Jinping.
Questo cambio di direzione rischia di alienare le aziende Usa, costrette a rallentare la loro espansione a fronte del maggiore controllo statale sull’economia. Diverse aziende occidentali hanno sospeso le loro ricerche in Cina, in particolare quelle tecnologiche e in altri ambiti sensibili. Inoltre, molti economisti prevedono che gli investimenti diretti esteri in Cina continueranno a diminuire, dopo il calo dello scorso anno legato però ad un rallentamento economico e ad una contrazione dei profitti. Ma questo cambio di direzione ha effetti negativi sulla Cina stessa, perché il calo della propensione per gli investimenti potrebbe infliggere un ulteriore colpo all’economia cinese, che sta già affrontando una debole domanda interna e un aumento della disoccupazione. In Cina c’è però la convinzione, condivisa dagli stessi funzionari della sicurezza, che il potere statale aumenterà le capacità tecnologiche della Cina.
“CINA VUOLE ALIENARE AZIENDE USA”
Lester Ross, legale di WilmerHale che ha sede a Pechino e fornisce consulenza alle società Usa in Cina, ha spiegato al Wall Street Journal che non viene attribuita molta importanza agli investimenti stranieri: «Considerano le società straniere come minacce che superano il valore che apportano». Di fatto, interessano solo investimenti stranieri di “alta qualità”, cioè quelli che possono aiutare la Cina a costruire e proteggere le proprie industrie e catene di approvvigionamento. Basti pensare a Tesla, la cui fabbrica di veicoli elettrici a Shanghai contribuisce allo sviluppo dell’industria cinese dei veicoli elettrici. L’attenzione di Xi Jinping alla sicurezza si evince anche dagli incarichi di alto livello affidati a diverse persone che hanno esperienza nel campo della sicurezza e della difesa. Ad esempio, oltre a Chen Yixin, c’è Chen Wenqing, per anni massimo funzionario dell’intelligence di Pechino, alla fine dell’anno scorso è diventato il primo spymaster da decenni a entrare a far parte del Politburo, l’attuale organo di governo del partito composto da 24 membri. Anche altri nuovi membri del Politburo hanno una formazione o esperienza in un settore legato alla difesa, evidenzia Wu Guoguang, membro anziano dell’Asia Society Policy Institute, un think tank con sede a New York. Questo è il caso del vice premier Zhang Guoqing, che ha lavorato per più di vent’anni presso un importante appaltatore militare cinese ed ora è responsabile della supervisione di aree chiave dell’economia cinese come la tecnologia dell’informazione, le imprese statali e la sorveglianza del mercato.
LA SVOLTA “PROTEZIONISTICA” DI XI JINPING
Un’importante svolta c’è stata alla fine dell’aprile scorso, quando è stata ampliata la legge anti-spionaggio in Cina per facilitare l’espansione delle indagini incentrate sull’estero da parte delle agenzie di sicurezza. Questa legge conferisce alle autorità di sicurezza, ad esempio, maggiori poteri per ispezionare i bagagli e i dispositivi elettronici delle persone sospettate di spionaggio. Nel mirino finiscono così le società di consulenza occidentali, a partire da quelle Usa, perché per Pechino mettono in pericolo la sicurezza nazionale cercando di indagare sulle pratiche cinesi in materia di diritti umani e sul suo sviluppo tecnologico. Il Wall Street Journal fa l’esempio di Bain, società di consulenza gestionale, il cui personale dell’ufficio di Shanghai è stato recentemente interrogato dalla polizia cinese, e Mintz Group, una società di due diligence con sede a New York: cinque membri dello staff del suo ufficio di Pechino, tutti cittadini cinesi, sono stati arrestati dopo una perquisizione. Il governo giapponese ha rivelato che anche alcuni dei suoi cittadini che fanno affari in Cina sono stati arrestati in relazione a indagini su presunto spionaggio. Ma non è finita qui. L’autorità preposta alla vigilanza sui beni statali ha chiesto alle maggiori aziende statali di evitare di lavorare con le quattro principali società di revisione contabile che compongono le Big Four, temendo possibili fughe di dati delle decisioni prese da Pechino. Invece, l’autorità di regolamentazione della sicurezza informatica ha deciso di limitare l’accesso dall’estero a diverse banche dati contenenti informazioni economiche, finanziarie e di registrazione delle società, nonché brevetti, atti di appalti pubblici, riviste accademiche e annuari statistici ufficiali.