L’organizzazione non governativa Human Rights Watch ha recentemente pubblicato un nuovo report sulla condizione della minoranza musulmana Uiguri in Cina, più precisamente nella regione dello Xinjiang. Da tempo la condizione in cui versa la minoranza musulmana è oggetto di numero denunce, sia da parte di HRW che di altre associazioni simili, mentre ovviamente Pechino ha sempre negato ogni accusa, ribadendo che non vi è nessun tipo di segregazione.



Secondo l’ultimo rapporto dell’organizzazione, però, gli Uiguri sarebbero sfruttati dalla Cina per estrarre l’alluminio utile a produrre batterie e componentistica per le auto elettriche. In altre parole, dietro al boom economico della macchina a batteria si nasconderebbe lo sfruttamento di una manodopera segregata all’interno di quelli che la Ong Council on foreign relations definisce “campi di rieducazione, di internamento o anche campi di concentramento“. La Cina, dal conto suo, ha sempre rigettato ogni tipo di accusa riguardo alla detenzione degli Uiguri o alla loro segregazione, sottolineando che i presunti ‘campi di concentramento’ sono in realtà ‘centri di istruzione e formazione professionale‘.



Quali aziende ricevono alluminio prodotto dallo sfruttamento Uiguri in Cina

Riguarda all’accusa rivolta alla Cina di sfruttare gli Uiguri per l’alluminio per le auto elettriche mossa da Human Rights Watch non vi sarebbero conferme ufficiali e, allo stato attuale, neppure smentite. L’Ong, comunque, sottolinea nel suo rapporto che vi sarebbero “prove credibili” di tale sfruttamento, come per esempio il fatto che l’alluminio prodotto nello Xinjiang è aumentato da 1 a 6 milioni di tonnellate negli ultimi 10 anni (rappresenta il 15% di quello complessivamente prodotto sul territorio cinese, 9% dell’offerta mondiale).



Inoltre, Human Rights Watch ci tiene a sottolineare che l’alluminio prodotto in Cina dagli Uiguri finirebbe in mano a diverse “aziende autonomistiche [che] non conoscono la portata dei loro legami con il lavoro forzato nello Xinjiang”. Nel rapporto si citano General Motors, Tesla, BYD, Toyota e Volkswagen, che sono state anche interpellate dalla Ong. L’azienda tedesca si è detta “non legalmente responsabile per gli impatti sui diritti umani nella catena di fornitura”, mentre GM ha scelto la via opposta, promettendo di impegnarsi affinché tra i fornitori non vi siano industrie che attuano “lavoro forzato”. Infine, Tesla, BYD e Toyota, interpellare da HRW in merito alla condizione degli Uiguri in Cina e alla produzione di alluminio, non hanno risposto alle domande della Ong.