Litigano su Taiwan e Ucraina, ma hanno bisogno di continuare a fare affari. Per questo Cina e Stati Uniti si stanno incontrando a ritmo serrato: prima la visita di Blinken, il segretario di Stato, poi quella della Yellen, segretaria del Tesoro, adesso John Kerry, inviato per il clima, che si è recato a Pechino per un faccia a faccia con il capo della diplomazia del Dragone Wang Yi. Più che un confronto sui temi climatici, spiega Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, è stata un’occasione per parlare di prodotti legati alla transizione ecologica. I cinesi, però, spingono su quella degli altri, degli Usa e dell’Europa, perché sono leader nella produzione delle auto elettriche e dei pannelli solari, ma non cercano affatto di realizzarla in casa propria: dopo il Covid e il calo dell’economia è troppo costosa anche per loro.



Come mai dopo le visite di Blinken e della Yellen si è arrivati anche a quella dell’inviato per il clima Kerry? C’è un ritrovato spirito di collaborazione tra Washington e Pechino?

Credo che ci siano dei segnali contraddittori. La Yellen aveva promesso che avrebbe parlato di diritti umani ma nel resoconto ufficiale del suo colloquio ci sono solo cinque parole su questo tema: vuol dire che sotto pressione dell’industria americana, che è poi quella che deve sostenere i democratici alle elezioni, dopo le visite in Cina di Bill Gates e di altri importanti imprenditori, c’è un momento di separazione tra il confronto strategico e i diritti umani da una parte e l’economia e altri progetti, come quelli climatici, dall’altra. Il messaggio che sta passando è che, mentre non si smette di litigare su Taiwan, sui diritti umani e sulla Russia, ci sono una serie di business che sono essenziali, in relazione ai quali la collaborazione continuerà.



Intanto Anche Kissinger, all’alba dei suoi cento anni, è andato nella capitale cinese a parlare con il ministro della Difesa di Xi Jinping. Cosa significa questa visita?

Una strana vicenda che non si sa a vantaggio di chi andrà. È stato invitato a Pechino e ha rilasciato dichiarazioni un po’ generiche che sembrano riprese dai suoi viaggi di 50 anni fa: “Il conflitto fra Cina e Usa fa male al mondo quindi dobbiamo trovare dei modi per intenderci”. Concetti che richiederebbero di essere calati su dossier concreti come Taiwan e i rapporti con la Russia. A leggere le fonti specializzate, quelle più vicine ai servizi, le newsletter private americane e la stampa cinese, non è chiarissimo se questa mossa giovi o no ai cinesi, se per gli americani passi come una interferenza di Pechino o come l’incontro con una persona comunque autorevole che vuole mantenere buoni rapporti con la Cina.



Ma perché proprio questo incontro sul clima, è davvero una priorità per entrambi?

E’ una priorità per gli Usa ma per certi versi anche per i cinesi che devono vendere i loro prodotti ecologici, soprattutto i pannelli solari, sui quali c’è un’annosa questione da risolvere. Il problema è, visto che la materia prima viene in gran parte dallo Xinjiang, se rientrano o meno nelle sanzioni per cui quello che viene prodotto con il lavoro forzato degli uiguri (la minoranza musulmana perseguitata nda) non si può importare negli Usa. Fra gli snodi economici, di cui probabilmente ha discusso anche la Yellen, non è improbabile, quindi, che ci sia stato lo snodo dei prodotti ecologici, in particolare dei pannelli solari, che sono una grossissima partita, miliardaria. Stiamo parlando di economia, non di clima, di dare il via libera a prodotti ecologici che la Cina realizza e che vengono elaborati negli Usa. Vi è un interesse comune a fare avanzare i piani ecologici di tutto il mondo che portano alla vendita di prodotti sia americani sia cinesi.

Il discorso sui diritti umani in questo contesto rimane ancora sullo sfondo?

Le organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani non sono contentissime perché la loro idea, e quella dei rappresentanti internazionali che stanno a Washington degli uiguri, è che i cinesi possono allentare la mossa della sorveglianza e delle detenzioni di massa nei confronti delle minoranze religiose solo se uno li tocca nel portafoglio. I proclami non sono tanto utili. Gli uiguri, i tibetani e anche altri si sono resi conto che l’unica strategia che porta alla liberazione di qualche dissidente o alla commutazione della prigione negli arresti domiciliari è questa. I cinesi sono in grado di bloccare qualunque cosa a livello Onu perché hanno una coalizione di Paesi non democratici o diversamente democratici del Terzo Mondo che votano con loro all’Assemblea generale o al Consiglio dei diritti umani. In Consiglio di sicurezza, poi, hanno diritto di veto, sia loro sia gli amici russi.

L’unica leva per convincerli a fare qualcosa nel campo dei diritti umani, allora, è quella economica?

Sì. Secondo il Falun Gong (disciplina spirituale bandita in Cina nda) le sanzioni personali contro capi della Polizia, segretari provinciali e municipali del Partito comunista, che impediscono i viaggi all’estero, di avere conti in banca negli Usa o ai figli di studiare lì, hanno portato a piccoli miglioramenti nella situazione. Qualche loro esponente arrestato invece che nei campi di concentramento è finito ai domiciliari.

Ma c’è un programma di transizione ecologica in Cina, si preoccupano anche loro dei cambiamenti climatici?

Hanno resistito a lungo su questo tema anche se sono uno dei Paesi più inquinati. Poi di fronte alle pressioni mondiali e delle forze progressiste loro amiche, pensiamo in Italia ai 5 Stelle, alla fine avevano deciso di fare qualcosa. Se non che è arrivato il Covid che ha rallentato bruscamente e brutalmente la loro economia e adesso dicono che questi interventi sono troppo costosi: “Ce li potevamo permettere se non ci fosse stato il coronavirus”.

Nelle auto elettriche però sono leader a livello mondiale.

Non solo, anche nei pannelli solari. Hanno bisogno di cavalcare quest’onda e di appoggiarsi all’amministrazione Biden che a sua volta fa pressione sull’Europa e su altri Paesi per la transizione ecologica. Ai cinesi fa bene nel senso che fa vendere prodotti. È difficile però presentare la transizione ecologica ai clienti senza farla in Cina. La transizione ecologica negli altri Paesi per i cinesi è un affare, ma in Cina per loro è un costo. Americani e cinesi, comunque, su questo troveranno il modo di collaborare.

Nel confronto tra le due superpotenze, quindi, si parla solo di economia?

Prevalgono i temi economici. La dottrina Blinken dice di tenere separati i tavoli, il contrario delle idee di Kissinger. Secondo quest’ultimo diventando partner commerciali della Cina alla fine si risolvono anche i problemi politici e dei diritti umani. Una nobile strategia che è fallita. La Cina si siede ai tavoli economici ma quando si parla di diritti umani si alza e se ne va. Ecco, quindi, che prevale la dottrina Blinken: “Con la Cina litighiamo e potremo fare anche delle guerre, ma finchè non le facciamo, il tavolo della cooperazione economica in tutti i settori, escluso quello militare, rimane aperto”.

 

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