IL REGIME VARA NUOVE MISURE PER LIMITARE LA LIBERTÀ DEI CRISTIANI IN CINA

Da un lato il difficile dialogo diplomatico sfociato nei primi aggiornamenti e rinnovi del faticoso Accordo Cina-Vaticano, dall’altro la costante “sensazione” che la libertà religiosa, specie per i cristiani, nel regime comunista cinese sia sempre meno concessa e solamente “tollerata”. Una sensazione che diventa realtà osservando quanto avviene per la Chiesa di Shenzen, oppure leggendo quanto scovato ottimamente dal portale online “Bitter Winter” (che si occupa della libertà religiosa e dei diritti umani in Cina) negli scorsi mesi, recuperato oggi dal quotidiano “La Verità”.



In sostanza, il Partito Comunista Cinese (PCC) già dal 2005 ha attuato misure amministrative per i luoghi delle attività religiose, stabilendo regole e ambiti dove vengono tollerate dal sistema socialista: il testo di legge si intitolava nel già consueto linguaggio burocratico di regime “Regolamento per l’istituzione, l’approvazione e la registrazione dei luoghi di attività religiosa”. Ebbene, ora il Governo di Xi Jinping ha aggiornato quelle misure rendendole ancora più stringenti nel pacchetto “Provvedimenti amministrativi per i luoghi di attività religiosa”. La rivista “Bitter Winter” già dallo scorso luglio aveva messo in guardia sulla pericolosità delle norme approvate da Pechino, sottolineando la messa a rischio della libertà religiosa e culturale delle Chiese cristiane, In primi quella Cattolica,



“LE CHIESE DEVONO SOSTENERE ATTIVAMENTE IL PARTITO”: IL DECALOGO CHOC NELLA CINA DI XI

Partecipare e sostenere attivamente alla propaganda del PCC, sostenere il sistema socialista del Governo cinese ed esaltare “l’amore per la patria”: questi sono solo alcuni dei precetti inseriti nella nuova manovra di Pechino per ridurre ulteriormente la libertà di pensiero e di fede in Cina. 10 capitoli e 76 articoli stabiliscono nel dettaglio – come in una vera dittatura comunista che si rispetti, fatta di codici, norme e regole – cosa possono e cosa non possono fare le Chiese presenti sul territorio cinese.



«Il termine luoghi di attività religiosa si riferisce a monasteri, templi, moschee, chiese […] e altri luoghi fissi per attività religiose», si legge all’articolo2 citato dalla rivista “Bitter Winter”, aggiungendo poi come «debbono impegnarsi a rispettare la Costituzione, le leggi, le norme e i regolamenti e le disposizioni pertinenti sulla gestione degli affari religiosi». È però l’articolo 3 ad inquietare ulteriormente, quando infatti si legge che tali ambienti religiosi devono «sostenere la leadership del PCC e del sistema socialista». Chiese, moschee, sinagoga e quant’altro devono infine «attuare pienamente l’ideologia del socialismo di Xi Jinping». Un “decalogo” del perfetto comunista che punta a “sinicizzare” ancora di più le religioni nella “grande” Cina di Xi Jinping: si viene tollerati solo finché si pensa e si attua la medesima idea. Anzi, ideologia. Se si pensa poi che fino allo scorso anno la Cina faceva parte del Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU (di cui fanno parte tuttora Venezuela, Cile e Vietnam, ndr) ecco che l’indignazione diventa immediatamente sconforto…