Negli ultimi tre anni le relazioni tra Cina e Australia si sono deteriorate e nel 2020 in modo ancora più evidente a causa della pandemia Covid-19.
I due paesi hanno instaurato forti scambi economici, diplomatici e culturali dal 1972: la Cina è la prima destinazione delle esportazioni australiane (32,6% del totale nel 2018-2019) e la comunità cinese annovera più di 1,2 milioni persone (5,6% della popolazione australiana). L’Australia da parte sua è un fornitore chiave di materie prime (carbone, uranio, ferro) e in particolare di terre rare, una famiglia di metalli strategici utilizzati nella fabbricazione di prodotti ad alta tecnologia di cui la Cina è la più grande raffinatrice del mondo.
La Cina tende a estendere la sua area di influenza nel Pacifico meridionale (investimenti significativi in Fiji, Vanuatu e nelle Isole Salomone) compresa l’Australia fino all’Antartide per i suoi progetti di ricerca scientifica. Entra così in conflitto con l’Australia che afferma la sua sovranità e considera l’ambita regione come appartenente alla propria sfera di influenza. Una zona o sfera di influenza è uno spazio territoriale situato al di fuori dei confini di uno Stato, nel quale questo tuttavia svolge un’azione politica o economica senza, in linea di principio, scontrarsi con l’azione concorrente di un altro Stato. Tutto ciò ha determinato un conflitto a livello di propaganda tra la Cina e l’Australia.
In questo contesto si colloca l’attività istituzionale dello spionaggio australiano attraverso l’Australian Security Intelligence Agency. Infatti, dalla fine del 2019, l’intelligence australiana ha regolarmente denunciato sui media le attività volutamente insidiose della Cina. Secondo l’intelligence australiana ci sono “più spie attive sul suolo australiano che durante la Guerra Fredda”. I metodi utilizzati dalla Cina prevedono finanziamenti ai circoli politici, economici, ai media e ai social media.
Nel 2017, il senatore laburista Sam Dastyari si è dimesso dal Parlamento per accuse di corruzione. Sarebbe stato infatti in contatto con un uomo d’affari e donatore cinese, Huang Xiangmo, al fine di allineare la politica australiana agli obiettivi di Pechino: ha cioè preso una posizione contraddittoria rispetto al suo partito sul conflitto territoriale nel Mar Cinese Meridionale, ha suggerito al portavoce per gli Affari esteri di annullare un incontro con il capo pro-democrazia di Hong Kong e ha informato il signor Xiangmo che il suo telefono era stato intercettato durante le prime indagini. In cambio, avrebbe ricevuto finanziamenti per molti dei suoi viaggi e delle sue spese.
Più recentemente, nel 2020, il politico Shaoquett Moselmane si è a sua volta dimesso a seguito di un mandato di perquisizione nella sua abitazione ottenuto dall’Asio: il suo ufficio è sospettato di infiltrazione da parte di agenti cinesi. Moselmane ha anche tenuto discorsi compiacenti nei confronti della Cina, congratulandosi con il suo presidente Xi Jinping per la buona gestione della pandemia, rispetto all’Australia che ha avuto una risposta “lenta e confusa”.
La Cina ha fatto affidamento a lungo sul potere morbido della sua diaspora per costruire una rete di agenti di influenza all’estero. Ha fondato il Dipartimento del Lavoro del Fronte unito nel 1942, la cui missione è organizzare la comunità d’oltremare attraverso associazioni studentesche, associazioni culturali o gruppi imprenditoriali. Proprio per questo, nell’agosto 2020, l’Asio ha dichiarato che è necessario essere vigili sulla capacita di lobbiyng che è in grado di esercitare sulla libertà di espressione e finanziaria delle istituzioni australiane, comprese le università.
A seguito di numerosi reclami nelle università da parte di studenti cinesi riguardo alla rappresentazione negativa della Cina da parte di insegnanti o studenti, il consolato cinese è intervenuto nel 2017 con diverse università (Sydney, Monash, Newcastle) al fine di ottenere una rapida rettifica degli incidenti. Le persone interessate si sono infatti scusate o addirittura sono state sospese. Non a caso, l’Asio ha segnalato che il dissenso all’interno delle associazioni studentesche è strettamente monitorato dal consolato cinese. D’altronde, proprio secondo l’Asio gli studenti cinesi costituiscono il 37,3% dei 300mila studenti internazionali in Australia e oltre il 10% di tutti gli studenti del paese. Il reddito generato dalle università australiane nel 2018-2019 è stato di 12 miliardi di dollari australiani. L’istruzione internazionale è il primo servizio di esportazione dell’Australia dopo l’esportazione di ferro e carbone.
Nel novembre 2019, Wan Liqiang, una presunta ex spia cinese che ha disertato, ha rivelato all’Asio i metodi di manipolazione utilizzati dalla Cina nei media: ha descritto, in particolare, di essere stato accusato di sabotare le elezioni presidenziali taiwanesi del 2020 reclutando alti funzionari per promuovere il candidato del Partito nazionalista cinese Han Kuo-Yu. A Hong Kong, ha spiegato, finanziando i media e le organizzazioni studentesche attraverso una società di copertura (China Innovation Investment Limited), la Cina sta raccogliendo informazioni personali sensibili sugli attivisti pro-democrazia. Rendendoli pubblici, spaventa gli avversari e riduce la portata del loro discorso.
Spaventata da questi rischi di spionaggio, l’Australia nel giugno del 2018 ha approvato una serie di leggi contro l’interferenza straniera negli affari interni, nella politica e nello spionaggio. L’obiettivo era colmare le lacune legali e ampliare la gamma di azioni che d’ora in poi saranno considerate spionaggio, fra le quali qualsiasi azione ingannevole o coercizione volta ad alterare il processo democratico, il divieto di donazioni straniere ai partiti politici e condanne più severe nel furto di segreti aziendali.
Sempre nel 2018, in seguito alle raccomandazioni dell’intelligence australiana, le società cinesi Huawei e Zte sono state escluse dal mercato 5G australiano, perché sospettate di essere gli occhi e le orecchie di Pechino sul suolo australiano. È in questo stesso contesto che diversi giornalisti cinesi vengono posti sotto inchiesta dall’Asio attraverso il sequestro dei loro cellulari e dei loro computer.
Diplomaticamente, l’Australia ha sospeso il suo accordo di estradizione con Hong Kong nel 2020. Il governo australiano ha denunciato, da un lato, alle Nazioni Unite la difficile situazione della comunità uigura e, dall’altro, ha richiesto un’indagine internazionale sulle origini del coronavirus. Per far fronte alla logica espansionistica di Pechino, l’Australia ha confermato la sua “alleanza indistruttibile” con Washington.
Esponendo pubblicamente i sospetti e commentando ampiamente le nuove misure, le autorità australiane sono riuscite a ottenere il sostegno dell’opinione pubblica: l’81% degli australiani ha attualmente una visione sfavorevole della Cina. Canberra intende fare affidamento anche sul dissenso come la defezione delle ex spie cinesi e garantirne la protezione: l’Asio incoraggia infatti la comunità cinese a collaborare con i servizi segreti, come fa con la comunità musulmana chiedendo di aiutarli a identificare le minacce terroristiche.
Risulta evidente che le contromosse del governo australiano hanno messo a dura prova i rapporti diplomatici con la Cina, che ha gioco facile nel denunciare una “mentalità da Guerra Fredda”, mentre la sua politica internazionale è sempre stata pacifica. Pechino, infatti, mette in dubbio l’attendibilità delle fonti Asio e le loro accuse. Per quanto riguarda le polemiche intorno alle associazioni studentesche e ai giornalisti intervistati, parla di diffamazione o addirittura di razzismo nei confronti dei suoi cittadini: indicando la discriminazione, mette il dito sul tumultuoso passato dell’Australia riguardo alla questione razziale. Durante il 2020 il numero di atti razzisti contro cittadini asiatici in Australia è effettivamente aumentato a circa 100 casi ogni settimana. In breve, se “spionaggio” è una espressione offensiva per la Cina, la parola “razzismo” lo è altrettanto per l’Australia.
La Cina cerca di sfruttare in modo abbastanza evidente quello che considera un punto debole del suo avversario, ovvero la sua mancanza di chiarezza e trasparenza sulla questione razziale.
Proprio per questo la Cina ha recentemente sospeso le sue importazioni di carbone e carne bovina dall’Australia e ha aumentato le tasse sull’orzo dell’80%, ma ha anche incoraggiato i suoi studenti a smettere di studiare in Australia. L’Australia, da parte sua, ha avviato manovre militari congiunte nel Pacifico con gli Stati Uniti e sta cercando di aggirare le sanzioni firmando l’accordo di libero scambio Rcep con altri 14 paesi della regione. Accordo però voluto fortemente proprio dalla Cina.
In ultima analisi, anche se l’Australia dimostrasse la sua indipendenza e potesse trovare forti alleati, la Cina intende ricordarle che può indebolirla economicamente, con o senza spie.
Credo che il caso dell’Australia illustri egregiamente non solo la pericolosità e insieme l’efficienza della Cina a livello di intelligence, ma dimostra altresì come questa sia stata in grado, almeno fino allo stato attuale, di penetrare le maglie molto larghe della democrazia australiana, i cui valori – come tutti quelli delle democrazie occidentali – favoriscono la penetrazione economica ma anche lo spionaggio da parte di nazioni che hanno una dimensione monopartitica e autoritaria come la Cina.
Lo stesso discorso si può sicuramente fare anche per la presenza musulmana in Francia che, piaccia o meno, rappresenta una vera e propria quinta colonna dell’integralismo islamico.
Una delle lezioni che si può dunque trarre sia dalla vicenda australiana come da quella francese è l’intrinseca debolezza delle nazioni democratiche di fronte a istituzioni politicamente integraliste e autoritarie.