La Cina è sempre più attiva sullo scacchiere globale. Dopo aver mediato tra Iran e Arabia Saudita e aver portato quest’ultima (che intanto ha aderito alla Shangai Cooperation Organization) a considerare la possibilità di farsi pagare parte delle forniture di petrolio in yuan, nei giorni scorsi il Presidente brasiliano Lula a Pechino ha siglato un accordo per scambi commerciali “senza bisogno di dollarizzazione”.
Come spiega Mario Deaglio, professore emerito di Economia internazionale all’Università di Torino, queste mosse fanno parte di «una strategia di lungo periodo con cui Pechino mira a sganciare dal dollaro il commercio con gli altri Paesi. Considerando che il cambio dello yuan non può fluttuare liberamente, ma solo entro dei limiti stabiliti dalle autorità cinesi, la questione non è solamente valutaria, ma più prettamente politica».
Accettare lo yuan al posto del dollaro per alcuni Paesi vuol dire anche evitare il rischio legato alle sanzioni occidentali in cui è incorsa la Russia dopo l’invasione dell’Ucraina?
Sì, è così. È anche un modo per evitare forme di embargo, da parte degli Stati Uniti, sulle proprie riserve valutarie.
Il Brasile, come del resto la Russia, fa parte dei Brics. Si sta creando un polo globale legato alla Cina e allo yuan?
Nell’ottica cinese la moneta di riferimento di quello che era definito il Sud del mondo dovrebbe diventare lo yuan. Il che vuole dire che la valuta centrale che può essere utilizzata per tutti gli scambi interni a tale sistema non sarebbe più il dollaro, ma lo yuan.
Vuol dire anche che l’India è destinata ad avvicinarsi sempre più alla Cina…
Direi di sì. L’India non è mai stata totalmente filo-occidentale, ma ha mantenuto una sua robusta indipendenza e ha ancora rapporti importanti con la Russia. Resta aperta all’Europa, ha accordi con gli Stati Uniti, ma non ha come riferimento il dollaro.
In questi giorni si parla molto di Africa, un continente vicino all’Europa, ma che è ben presidiato dalla Cina.
Si tratta di un presidio che è cresciuto negli anni, c’è anche una presenza russa non irrilevante, mentre è drasticamente diminuita quella francese. In Italia ha avuto scarsissima eco la creazione dell’AfCFTA, un’area di libero scambio tra Paesi africani. Questo accordo doganale, che oggi ha un’importanza relativa, un domani crescerà portando a un coordinamento sempre più forte tra i suoi membri. Parliamo tanto dei barconi nel Mediterraneo, ma la migrazione africana è per due terzi interna. Crescono le università, l’età mediana in Africa è tra i 18 e i 20 anni, esistono già aziende interamente locali che producono auto. Occorre, quindi, collaborare con questi Paesi per costruire qualcosa di nuovo su un piano paritario, altrimenti l’Europa sarà fuorigioco. Basti pensare che si calcola che nel 2050 la sola Nigeria avrà più abitanti degli Stati Uniti.
Come vede l’Europa rispetto ai rapporti di forza tra gli Stati Uniti e la Cina?
Credo che quando ci sarà una vera ripartenza mondiale e sarà necessario acquistare materie prime non è da escludere che all’Europa venga detto che questi scambi vanno effettuati avendo come riferimento lo yuan. Questo non vuol dire che non verrebbero accettati i dollari per il pagamento, ma che nel caso per determinare l’importo si utilizzerà il cambio yuan/dollaro. Questo scenario rischia di diventare ancora più concreto per le “nuove” materie prime, quelle legate alla transizione energetica.
Rispetto alla Cina resta un certo atteggiamento ambiguo da parte dell’Europa, lo abbiamo visto anche recentemente con la visita di Macron a Pechino e ancor prima con quella di Scholz nella capitale cinese…
Da tempo la Germania ha più interscambi commerciali con la Cina che con gli Stati Uniti. L’Europa ha abbandonato anni fa le proprie posizioni di avanguardia nell’elettronica a favore degli Stati Uniti, come oggi vediamo nel caso dell’intelligenza artificiale, ed è dunque gentilmente invitata ad acquistare quel che viene da oltre Atlantico. Questa situazione non può durare a lungo. L’Europa ha molte tecnologie di prim’ordine, ma di nicchia. Si tratta di capire in che misura abbia il controllo di queste tecnologie e possa pensare al proprio futuro come “suo”. Credo sia impossibile per l’Europa pensare a un suo futuro da sola e se una volta considerava gli Stati Uniti culturalmente una propria appendice, ora la situazione si è ribaltata.
L’Europa potrà continuare a giocare su due tavoli?
Questa è una bella domanda. Se consideriamo anche gli aspetti militari, a mio avviso la risposta è negativa. Bisognerà vedere se gli Stati Uniti avranno la capacità e la forza di costruire un tavolo e convincere l’Europa a venire con loro o se questa offerta arriverà invece dai cinesi. In questo senso c’è da dire che l’Italia rappresenta un interlocutore privilegiato, perché è abbastanza piccola da poter essere più facilmente approcciata e ha molte eccellenze tecnologiche che fanno gola.
(Lorenzo Torrisi)
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