La Cina sta spingendo affinchè si crei un’unica grande identità nazionale a sfavore delle minoranze etniche, a cominciare da quelle che vivono in Mongolia. A porre luce sulla vicenda è stato l’Economist, che sottolinea come gli attivisti parlano di una lingua mongola (diversa dal mandarino), che sta morendo per cause naturali. Tre anni fa, infatti, il governo centrale ha ordinato alle scuole della Mongolia interna di sostituire la lingua del posto con il mandarino, nell’insegnamento di alcune materie. Nonostante le proteste, il governo fece di più, annullando le norme che consentivano alle regioni autonome di insegnare attraverso le lingue minoritarie. Oggi negli asili si insegna solo in mandarino e lo stesso sta avvenendo anche in altre classi. La situazione della Mongolia, riporta anche l’Economist, rientrata in una strategia che il governo centrale sta portando avanti da anni, con l’obiettivo di assimilare tutte le minoranze etniche cinesi. Questi gruppi devono avere la stessa posizione degli Han, gruppo etnico che costituisce il 90% della popolazione cinese: tutti gli altri vengono emarginati.



“Vogliono trasformarci in Han”, spiega un ragazzo mongolo di 25 anni. Quando il partito comunista prese il potere nel 1949, ereditò uno stato multietnico ed esteso, e per governarlo si copiò quanto fece l’Unione Sovietica: ai gruppi etnici maggiori venne dato loro aree autonome e hanno permesso di essere istruiti nella loro lingua. Gli altri gruppi minoritari (la Cina conta ufficialmente 55 minoranze etniche), non hanno avuto invece gli stessi privilegi. L’Economist ricorda la lunga scia di discriminazione nei loro confronti, come ad esempio le rivolte in Tibet nel 2008 ma anche lo Xinjiang nel 2009, patria degli uiguri. Per timore che tali disordini potessero disintegrare la Cina, un po’ come avvenuto con l’Unione Sovietica, il governo ha deciso di offuscare le minoranze etniche, e così che negli ultimi anni la politica è diventata ancora più rigorosa: i funzionari locali in contrasto col governo centrale sono stati rimossi, e vari vantaggi sono stati annullati. Ma non finisce qui perchè i libri che si soffermano sulle identità etniche cinesi vengono vietati. Un caso emblematico è quanto accaduto in Francia durante una mostra su Gengis Khan: gli organizzatori fecero sapere che il governo cinese aveva vietato di utilizzare le parole “Genghis Khan”, “Mongolo” e “impero” nel materiale espositivo.



CINA, OBIETTIVO UNA GRANDE IDENTITA’ NAZIONALE: GLI HAN PRIMEGGIANO

L’Economist ricorda anche le molte lingue “censurate” dal governo cinese prima del mongolo, come kazako, coreano, tibetano e uiguro, tutti declassati dall’insegnamento nelle scuole. “Se non parli mongolo come puoi essere definito mongolo?” chiede una donna a Tongliao. L’identità maggiormente promossa è l’Han e la si trova nei programmi tv, nei libri e nelle mostre. Ma come giustificano tali trattamenti? I funzionari sostengono che imparare il mandarino aiuterà i gruppi etnici minori a trovare lavoro, ma tale indottrinamento è stato spesso e volentieri brutale, come quanto avviene dal 2017 nel sopracitato Xinjiang, dove un milione di uiguri sono rinchiusi in campi di rieducazione.



Fortunatamente la Mongolia appare come una terra pacifica dove non si sono verificate fino ad ora particolari tensioni: non esiste un movimento religioso come ad esempio l’Islam e neanche un movimento separatista serio. “Non abbiamo idea di chi stia dando questi ordini”, si domanda quindi una donna Han che vive in Mongolia, “A cosa servono?”.