La casa di Pupi Avati era come me l’ero immaginata. Una dimora viva, fatta di oggetti preziosi che rimandano ad emozioni, eventi; una memoria visiva delle mille storie e avventure passate dal regista italiano. Appena entri un forte calore ti circonda insieme alla musica che è presente come una colonna sonora di un film. Anche se si fa notare per la sua forte personalità, come il nostro ospite, le note che provengono da una stanza adiacente al soggiorno rimangono come un sottofondo piacevole a tratti coinvolgente ma mai invasive.



Sulla sua splendida scelta musicale inizia la nostra chiacchierata… Film bellissimi e di autentico valore, storie veritiere che dimostrano una grandezza di contenuto incredibile, una poesia e una liricità commoventi, una vena creativa eccezionale.

Il cinema di Pupi Avati, il regista bolognese nato il 3 novembre 1938, famoso in tutto il mondo è tra i più apprezzati in Italia e non solo. È la storia di un maestro del cinema che sa raccontare l’animo umano in tutti i suoi risvolti esistenziali. La sua passione per la musica, la sua versatilità nel campo artistico. Anche nel campo cinematografico dove ha all’attivo una notevole esperienza nella produzione di film horror. Un vero creativo come ama definirsi lo stesso Pupi Avati. Un regista che ci ha lasciato componimenti di altissima classe. Come lo splendido “Il papà di Giovanna”, con il premio alla scorsa edizione del Festival del cinema di Venezia con la Coppa Volpi a Silvio Orlando, uno dei protagonisti di questo film.



Nel 2009 uscirà “Gli amici del bar Margherita”. Che cosa dire di più di questo regista che ha accompagnato nella sua vita e nei suoi film l’amore e la passione per la musica e per la propria città, accanto alla sua grande passione per il cinema? Nel 2008 ha pubblicato la sua autobiografia “Sotto le stelle di un film”.

Il suo è un cinema d’autore, di sentimenti, di contenuti molto profondi…

 

Mi auguro di sentimenti! Se realizzo un film è perché sono visitato da un’emozione; in qualunque ambito si viva un’emozione: commozione, paura, divertimento… Da ragazzo adoravo i film fantastici, di fantascienza, ora i film che non parlano di realtà mi piacciono di meno.



Qual è il rapporto con la sua città Bologna?

 

È una città a cui devo tanto! Sono molto legato a Bologna, che è la città che mi ha visto nascere e crescere, in cui ho vissuto anni importanti della mia vita e che ha visto i sogni della mia giovinezza. Ora però non la riconosco più Ciò nondimeno devo ammettere che Bologna è una città molto provinciale.

E quindi Roma l’ha consacrata definitivamente…

 

Roma è una città decisiva per la mia carriera, che mi ha dato tanta fortuna. Roma è la città del cinema. Mi ha permesso di esprimere tutta la libertà espressiva indispensabile per questo lavoro.

Un lavoro sempre pieno di novità. come il suo prossimo film “Gli amici del bar Margherita”…

 

È una storia ambientata a Bologna nel 1954. Io abitavo proprio di fronte a questo bar, avevo circa sedici anni, e vedevo l’alternarsi dei vari personaggi che frequentavano questo locale: donnaioli, giocatori di carte, grandi fumatori; soggetti strani e caratterizzati dal fascino del proibito. Così ho voluto raccontare l’immagine di questi protagonisti di un’Italia certo differente. L’ Italia del boom, un’Italia ottimista, in cui l’individuo e quindi questi personaggi gloriosi avevano un’identità importante.

Secondo lei qual é la differenza principale tra la gioventù narrata nel film e quella d’oggi?

 

Prima i giovani erano deresponsabilizzati, ora invece sono al centro dell’attenzione. Il problema è che sono attenzioni negative che hanno il risultato di togliere il sogno individuale, omologare le menti. Prima un individuo aveva il potere di immaginarsi una sua avventura, ora è molto più difficile.

E la musica sempre presente nei suoi film…

 

Essere un grande musicista è stato uno dei sogni non realizzati della mia vita. È ancora una grande cicatrice aperta, anche perché il potere evocativo della musica è molto più forte di quello del cinema: dà spazio all’immaginazione molto più di un film. Il jazz come tutti sanno è stata una mia autentica passione. E raccontare questo mio amore nei miei film mi sembra cosa assolutamente naturale.

Intanto a Venezia ha strabiliato tutti per la sua splendida opera “Il papà di Giovanna”…

 

Sono contento che ci sia stato notevole consenso attorno a questo film. “Il papà di Giovanna” ha convinto molti critici. È penetrato nel cuore anche di certi critici più ostili. E poi Silvio Orlando ha ricevuto la Coppa Volpi. Sono molto orgoglioso di tutto questo.

Si può dire che Pupi Avati è veramente un maestro del cinema, con un suo stile, una sua forma, una sua linearità…

 

Penso di avere un mio “tono di voce”, una mia riconoscibilità. Cerco di fare un cinema che risponda a precise qualità stilistiche, che possa avere una sua identità. Se questo vuol dire essere considerato un maestro del cinema mi fa molto piacere.

 

Le piace quindi la popolarità?

 

È normale facendo questo lavoro che la popolarità sia accettata di buon grado da un regista.

Che cosa pensa del cinema italiano?

 

Il cinema italiano è uscito dal grande giro. Non è più così interessante come ai tempi di Fellini. Purtroppo anche perché il nostro Paese non ha più in sé quelle storie, quelle peculiarità che potrebbero far interessare. Destare interesse, incuriosire il mondo di Hollywood. L’Italia stessa ha perso molto del suo fascino. Fascino che possiamo recuperare solo guardando al passato… vedi ad esempio la “Vita è bella”. Oppure con “Gomorra”, che racconta la triste realtà della malavita, forse l’unica però che riesce a destare un forte interesse internazionale. “Gomorra” del resto ha delle ottime chances di vincere l’Oscar.

E il cinema americano?

 

Il cinema americano sta vivendo una decadenza. Ha improntato la sua struttura sulle nuove tecnologie e sullo Star System, con una grave lacuna nelle storie raccontate. Ha un problema di storie

Allora secondo lei qual è l’elemento che sostiene un film?

Sicuramente la storia, e naturalmente anche come viene raccontata. Non realizzo film per un “pubblico da Multisala”, non mi interessa.

Il cinema francese?

 

Il cinema francese è scomparso. Non è più quello di grandi maestri come François Truffaut. È in crisi quanto il nostro cinema, con una differenza sostanziale: è più difeso dall’intervento dello Stato, producono almeno il doppio rispetto a noi.

E i festival mondiali?

 

Cannes ha un mercato mondiale. Venezia è affascinante, ma non riesce a raggiungere la globalità di Cannes. Roma non va ancora bene, deve ancora decollare.

Cosa pensa degli attori che hanno recitato con lei?

 

Abatantuono, Delle Piane, Orlando (con cui voglio ancora lavorare) sono attori a cui sono molto grato, preparati di indubbie qualità. Un po’ come Francesca Neri, un’attrice che col tempo è cresciuta definitivamente.

Pupi Avati si sente un artista?

 

Artista è una parola grossa. Sono un creativo, uno che ha nel sangue il mestiere del cinema, come potrebbe averlo un attore. Attori si nasce, è un dna che ti porti dentro la tua anima. Io faccio cose creative. In questo senso concepisco la mia arte.

 

Ci congediamo ringraziando il maestro e incamminandoci per le vie di Roma apprezzando ancora di più «la bellezza terapeutica» di questa città come Avati stesso aveva detto.

(intervista a cura di Franco Vittadini e Gloria Anselmi)