Il rumore dei miei passi echeggiava nelle fredde e buie vie del centro di Milano. La pioggia continuava a scendere sottile e il mio unico riparo era un cappello nero e bianco a quadri. Più mi avvicinavo al 33 di Via Solferino più il mio passo aumentava così come il battito del mio cuore e il respiro che, diventando sempre più affannoso, mi costringeva a soffiare l’aria dalle labbra disegnando nuvole di vapore simili al fumo del sigaro di Santandrea Lazzaro, protagonista di molte storie noir di Andrea G.Pinketts. Anche Pinketts fuma un sigaro come il suo alter ego di carta e ordina una birra.
La sua voce è calda, diaframmatica, robusta e, dopo una stretta di mano, apro la mia moleskine e armo la mia penna. Inizia la mia inchiesta sull’universo Pinketts…



Durante una serata hai sottolineato di essere uno scrittore di noir… mi puoi dire la differenza che separa il genere giallo dal noir?

Il giallo è il vecchio “Mistery” che è stato codificato nel 1929 da Alberto Tedeschi, un editor Mondadori che doveva decidere il colore della copertina per i romanzi del mistero e che incidentalmente scelse il colore giallo.
Per anni, grazie al successo del giallo Mondadori, quello è diventato il colore di riferimento. Oggi in Italia il termine è cambiato: il giallo è un romanzo enigmistico, il noir è un romanzo sociale, forse l’ultimo romanzo sociale che permette di descrivere attraverso il crimine gli errori e gli orrori della società.



Ho letto una definizione di Dazieri: «A differenza del giallo il noir è sempre stato una vocazione. Uno sguardo più che un genere codificato». Concordi?

Corretto, ma non esaustivo… per me il noir è il “pozzo”. L’immagine di un bambino che si affaccia al pozzo, può essere delle meraviglie o degli orrori, l’importante comunque  è sporgersi, avere e manifestare una curiosità innata. Avere anche la forza di misurarsi contro qualcosa che può celare l’inaspettato… dal pozzo infatti può uscire una fata oppure una strega.

Quali sono secondo te gli autori di riferimento del genere noir a livello internazionale?



Nel passato Dashiell Hammett, Chandler, Thompson, di recente James Ellroy. Uno su tutti e prima di tutti è Dostoevskij, il cui Delitto e Castigo è un noir per eccellenza. È la storia di un’indagine di una colpa. I personaggi sono diversi da quelli del romanzo giallo: non sono marionette in un teatrino di burattini, sono vivi e solidi.
Riguardo alla differenza di cui parlavamo prima, nel giallo i personaggi sono “funzionari” della storia, nel senso di “impiegati”.

Reportage giornalistici di cronaca nera e telefilm “crime” si concentrano sempre più sull’aspetto scientifico delle indagini: per te rappresenta uno svilimento del genere investigativo?

Certo, è uno svilimento nei confronti dell’investigazione. Basarsi su prove presunte e discutibili  toglie l’energia vitale che è alla base di un’autentica indagine. Ad esempio, se trovano una ragazza assassinata e ho fatto pipì lì, qualcuno può presumere che io sia il colpevole. Questo in effetti è possibile, ma prima di arrivare a una conclusione  occorre indagare sulla vita della ragazza: amicizie, stile di vita, ecc.

In pratica può essere il contributo, ma non la base per le indagini.  Esiste ancora il fascino della scoperta dell’assassino e del contesto umano in cui si genera una “mente”  criminale?

Quando scrivi e quando indaghi (ho fatto l’uno e l’altro) entri o cerchi di entrare nella mente dell’assassino. Il contesto, l’humus è fondamentale. Entri nei meandri  e nei luoghi oscuri cercando di rendere vicino a te una realtà sepolta.

Sei un personaggio poliedrico. Sei stato fotomodello, pugile, opinionista tv… Com’è stata l’esperienza sul set Zoé di Giuseppe Vallotta?

Sono fruitore di cinema e mi è anche capitato di intervenire in produzioni cinematografiche in quanto uomo prestato al cinema.
Zoé è un grande film, ha avuto anche un bel riscontro durante il Giffoni Film fFstival (anche se ci sono problemi per la distribuzione).
È una sorta di Alice nel paese delle meraviglie ambientato nelle Langhe durante il nazismo in cui una bambina Zoè (dal greco, “vita”) incontra personaggi più o meno sinistri, ma esemplari.
Per quanto riguarda la mia esperienza personale sul set se fossi stato Massimo Boldi e avessi girato Natale a Miami, mi sarei divertito di più che interpretare un nobile principe nelle Langhe in balia del tempo in una location disperata!

Quale tra i tanti premi ricevuti ricordi con maggior emozione?

Il primo, ricevuto nel 1984 a 23 anni per il Mystfest di Cattolica. In seguito la bella soddisfazione di vincere lo stesso premio per ben tre volte…un record!
Ma la più grande però è stata quella di diventare Cavaliere e ricevere la Medaglia d’onore dell’Assemblée Nationale de la Rèpublique Française per meriti artistici e culturali. Come si dice… Nemo profeta in patria o meglio Nemo profeta in Pinketts! In Francia cavalierato, in Italia mi danno un cavallo da accudire come stalliere!


Di recente sei stato al Festival noir di Courmayeur, come si è svolto? Ti è capitata qualche situazione particolare?

Il Festival è un elemento fondamentale per ciò che concerne la contaminazione che esiste nella parole noir a livello cinematografico, ma anche letterario. Grazie a questo Festival ho avuto occasione di essere seduto al tavolo a fianco di personaggi che mai mi sarei sognato di conoscere, come Robert Bloch, (tra i suoi libri più celebri cito Psycho) e James Ellroy. 
I bar sono quelli e ti ritrovi inevitabilmente come vicino di tavolo un cretino o un genio: un genio che pensa che tu sia un cretino perchè non ti conosce, oppure un cretino che pensa che tu sia un genio per lo stesso motivo. La terza possibilità è l’incontro di due geni.
In questa edizione del festival ho avuto il privilegio di incontrare Neil Connery, fratello del più celebre Sean Connery. Nel 1967, interpretato da Neil, uscì uno spy movie dal titolo O.K. Connery che voleva fare sciacallaggio nei confronti dei film originali del fratello.
Quest’ultimo è identico a Sean Connery, infatti pensavo fosse lui. Ho notato che inevitabilmente ha subito il fatto di essere fratello di un celebre attore.
Da scrittore ero interessato a scoprire non tanto chi fosse Sean o Neil Connery, ma quanto comporti essere il fratello minore del più famoso 007.
Il che, mi ha rivelato un’assoluta certezza: è meglio essere il fratello maggiore o essere figlio unico, come nel mio caso!

(Gloria Anselmi)