Su YouTube è uno dei personaggi più “scaricati”, la parola “febbra” si è diffusa grazie a lui, se qualcuno vi risponde “anche no!” è perché, molto probabilmente, è vittima di un suo tormentone. Stiamo parlando di Marcello Macchia, più conosciuto come Maccio Capatonda.
Marcello è di Chieti e vive ora a Milano dove ha la sua casa di produzione, la Short Cut Production, dalla quale, oltre a prodotti per la pubblicità, escono i suoi esilaranti cortometraggi.
Marcello Macchia, come è cominciata la tua avventura di personaggio dello spettacolo?
Potrei elencare tutta una serie di avvenimenti che parte dalla mia infanzia, da quando avevo 4 o 5 anni. La mia passione per lo schermo è cominciata dopo aver visto al cinema “Ritorno al Futuro” di Robert Zemekis nel lontano 1985. Da allora ho cominciato a realizzare le prime scenette con gli amici e poi è cresciuta in me la voglia di cominciare a lavorare nel mondo del cinema e dello spettacolo. I miei genitori me lo sconsigliavano, ma non c’è stato nulla da fare. In più mio zio mi regalò una telecamera, con la quale, ancora bambino, iniziai a impratichirmi.
Poi hai intrapreso uno studio vero e proprio?
All’università di Perugia ho studiato tecnica pubblicitaria. Alla fine dell’ultimo anno partii per un Erasmus in Inghilterra dove andai a frequentare un corso di videoproduzione, cosa insolita per il nostro ateneo che per lo più sforna art director o copywriter, e là imparai la base per la realizzazione dei video. Quando tornai feci vedere quanto avevo fatto al mio professore di Comunicazione Visiva il quale mi chiese se volevo fare uno stage alla Filmaster, la più grande casa di produzione pubblicitaria milanese. Seguii uno stage di quattro mesi e mi feci un po’ di esperienza con gli show reel dei registi, mi misero a fare ricerca di autori portati per i filmati pubblicitari. Ma io volevo fare più produzione, più aiuto regia. Mi assunsero poi per un anno per continuare quel lavoro. Rimasi col desiderio di andare sui set, poi, finalmente, cominciai qualche lavoro di aiuto regia. Realizzavo backstage sui set senza però montarli. Mi diedero però la possibilità di usare la loro videocamerea e quindi iniziai a girare e montarmi da solo le mie prime follie. I colleghi che le vedevano ridevano e mi dicevano di far vedere quanto realizzavo al nostro producer. E così feci. I video gli piacquero molto ed egli stava per iniziare una nuova produzione per All Music TV che al tempo si chiamava “Rete A”. Mi chiese se volevo girare degli spezzoni da due minuti per quella televisione. E di colpo mi sono trovato ad avere da un lato il lavoro di assistente di produzione per gli spot seri e dall’altro quello di autore, attore, montatore e doppiatore.
In seguito è arrivato il successo
I miei filmati vennero visionati da Carlo Taranto della Gialappa’s Band. Li trovò molto divertenti e mi chiese di collaborare. Girai un po’ di puntate zero su finti reality, perché al tempo il programma della Gialappa’s era sul “Grande Fratello”. Così ebbi l’idea di Divano Scomodo, Grand’angolo e Il Gabinetto, quest’ultimo era uno pseudoreality nel quale io ero l’unico concorrente costretto a vivere in un locale di servizi.
Con quali criteri hai scelto il tuo cast che ormai ti accompagna fedele? Sono amici o attori trovati sul set?
In parte sono miei amici, in parte lo sono diventati lavorandoci, altri sono attori professionisti. Abbiamo un agente, che è nostro amico, e che ci propone tutte facce strane. Uno dei personaggi più singolari è senza dubbio Franco Mari, alias Rupert Sciamenna. L’ho conosciuto perché ai tempi bazzicava molti laboratori di cabaret. Ho capito che era un grande personaggio e lo convinsi a fare qualcosa con noi ancora prima del contatto che ebbi con la Gialappa’s. Gli dissi: «Tu hai la stoffa ragazzo!».
Il tuo umorismo rappresenta una grande novità nel nostro panorama nazionale, soprattutto dal punto di vista del linguaggio che utilizzi. Hai la capacità di fondere termini ricercati o desueti insieme alle composizioni sintattiche più improbabili. Che cosa ti ha ispirato questo stile?
Diciamo che più che uno stile è proprio il mio modo di parlare. Nel senso che, ovviamente, io non parlo così, ma ho sempre avuto queste trovate e mi sono creato un linguaggio già durante l’adolescenza. È una lingua che poi si è affinata quando mi sono trovato a scrivere situazioni comiche. I nomi dei personaggi invece mi vengono spontaneamente, senza alcun tipo di riflessione. Mentre lavoro al computer, senza nemmeno pensarci, può capitare che mi esca un nome tipo “Bruno Liegibastonliegi”, “Bruce Lagodigarda” o “Pina Sinalefe”. I nomi migliori, così come i lavori migliori, mi vengono spontaneamente. Sono intuizioni non volute che il mio cervello mi suggerisce. La bravura è quella di riuscire ad incanalarle in un contesto.
Quali sono le componenti della realtà che maggiormente stimolano il tuo senso dell’umorismo e il tuo modo di realizzare situazioni comiche?
Il mio umorismo nasce in primo luogo da una dissacrazione della televisione. Più in generale attuo una derisione di tutta la realtà, ma non si tratta di una beffa. Tutto consiste nell’osservare la realtà e rendersi conto delle cose curiose o talmente normali da sembrare strane. Adesso per esempio vogliamo fare un trailer che si chiama “Reazioni Esagerate” dove dei tizi hanno reazioni assolutamente sproporzionate alle cause che le provocano.
Le idee poi ci vengono fra di noi. La nostra compagnia è uno degli ingredienti fondamentali per la nascita delle nostre trovate, molte delle quali sono nate insieme al mio collega, Enrico Venti.
Hai dei maestri o dei punti di riferimento che ti hanno ispirato?
Ho addirittura degli idoli, dei comici che hanno segnato la mia adolescenza Verdone primo fra tutti. Poi Guzzanti e Troisi, ma quest’ultimo, purtroppo, lo conosco di meno. A livello letterario apprezzo Campanile, me lo ha fatto conoscere mia madre. Wodehouse è invece il mio scrittore comico preferito. Aggiungerei anche Queneau che trovo molto affascinante. Poi per il cinema ho idoli seri: Kubrik e Lynch mi piacciono molto. Devo ammettere, senza pretese, che molti dei miei lavori si ispirano a David Lynch, specialmente La Febbra.
Un’ultima domanda: che cosa vedremo di tuo in futuro?
Ahi ahi, qui si fa dura rispondere. Ti dico solo che stiamo collaborando con la Fox per la quale abbiamo organizzato due progetti e non voglio aggiungere altro. Poi vedrete anche un gioco interattivo su internet.
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