Occuparsi di comunicazione significa occuparsi anche di politica. Prendiamo il caso dell’On. Di Pietro: dopo aver battezzato il suo partito/movimento con un nome che esprime da subito un preciso “posizionamento” – come si usa dire nel linguaggio del marketing – , ha iniziato a tenere una serie di comportamenti tattici di grande efficacia sui cittadini/elettori, cogliendo ogni occasione per marcare il territorio dei “valori”, di per sé a rischio di grande astrattezza. In un paese nel quale nessuno mai si dimette, la decisione di far ritirare i propri assessori dalle giunte campane poteva assicurargli una ulteriore crescita di consenso da parte dei cittadini sempre più esasperati dall’immagine di una politica sporca e traffichina, vero o falso che sia.



Questo non è un giudizio politico – lo ribadiamo – ma un giudizio strettamente tecnico. Riportato sul terreno delle pubbliche relazioni, è come se una marca producesse una serie di eventi di comunicazione integrata certamente costosi ma di grande presa sul pubblico perché assai coerenti con la propria immagine. Rinunciare a varie poltrone di assessore in nome della difesa dei “valori” ha un costo immediato non indifferente, ma ha grandi probabilità di rivelarsi un ottimo investimento.



Ma sia l’uomo politico che la marca, non possono assolutamente permettersi la minima mancanza di coerenza in comunicazione.

I problemi giudiziari nei quali si trova ora coinvolto il figlio dell’On. Di Pietro – se confermati – rischiano di provocare infatti effetti devastanti sull’immagine globale della sua famiglia, immagine che si era cercato di costruire come adamantina e soprattutto “diversa”. Perché oggi gli elettori, ma anche i cittadini e i consumatori cercano soprattutto coerenza con le promesse che vengono fatte loro.

Quello che vale per la comunicazione politica vale anche e soprattutto per quella commerciale: mi piacerebbe a questo proposto che i vertici di Trenitalia potessero ascoltare i commenti già esasperati dei pendolari di lungo corso che – insieme a me – tutte le settimane salgono più volte sulla Freccia Rossa (già ribattezzata da alcuni giornalisti Freccia Rotta) per andare da Roma a Milano e viceversa. Commenti che diventano sempre più salaci in seguito agli annunci del capotreno, che assumono sempre più spesso toni di involontaria comicità: “Il treno Freccia Rossa/Alta Velocità con destinazione Milano parte con 15 minuti di ritardo a causa dei ritardi accumulati nella traccia precedente”.



Peccato che il treno si fosse formato a Roma e fosse entrato in stazione vuoto sotto gli occhi di tutti. Oppure “Il treno Freccia Rossa/ Alta velocità” arriverà a destinazione con 27 minuti di ritardo, causa intenso traffico: Trenitalia si scusa con in viaggiatori”. Neanche fossimo in autostrada! E poi mezz’ora in più sulle tre ore e mezzo tanto sbandierate non è roba da poco, visti i 20 euro di incremento del prezzo del biglietto, nonostante i treni siano gli stessi, le toilette in gran numero fuori uso come prima, e il servizio ristorante (peraltro già poco commestibile) abolito. Intanto sul patinato e certamente costoso “Riflessi, mensile per i viaggiatori”, gli annunci altisonanti dell’A.D. del Gruppo Ferrovie dello Stato raggiungono vette di retorica assai lontane dagli abissi della realtà: “Cambiano le prospettive culturali, sociali, di crescita economica, spinte da quel volano di creatività che, da sempre, è lo sviluppo dei collegamenti, l’abbattimento delle distanze temporali e spaziali”. Sic!