Fare i conti con il proprio passato è un mestiere difficile per qualsiasi Paese. Ci ha appena provato Michael Haneke con Il nastro bianco indagando i prodromi della generazione del Terzo Reich alla luce dei modelli educativi violenti e autoritari impartiti nei primi anni del 900. Ci ha provato anche Uli Edel con la sua Banda Baader Meinhof e la storia della RAF (no, non è laviazione britannica, ma la Rote Armee Fraktion le BR dei tedeschi per intenderci), ma lesito non ha convinto parte dellopinione pubblica interessata. Per lItalia la situazione si complica. Forse perché quel passato non è proprio passato.



Fatto sta che La prima linea di Renato De Maria (Hotel Paura, Paz!, Amatemi), con Riccardo Scamarcio nel ruolo di Sergio Segio e Giovanna Mezzogiorno in quello di Susanna Ronconi, sembra aver scontentato destri e sinistri. A cominciare dai primi timorosi dellennesima apologia dei terroristi rossi, compagni che sbagliano per arrivare ai secondi terrorizzati dallessere associati ai movimenti estremisti. Diciamo che molti commenti, forse la maggior parte, su questo film si sono incentrati, comè comprensibile, più sui contenuti ideologici che non sulla realizzazione. Eloquenti in tal senso sono i due paginoni che a “La prima linea” ha dedicato alcuni giorni fa Repubblica: da un lato le querimonie, giustissime, di alcuni famosi membri dellassociazione delle vittime del terrorismo, dallaltro le lamentele del diretto interessato Sergio Segio sui rischi di una romanzata allitaliana.



«Certamente il terrorismo è ancora un tabù commenta rassegnato De Maria alla presentazione del proprio lavoro. Non abbiamo approfondito se questa tesi è contenuta nel libro di Segio Miccia Corta o se invece è patrimonio esclusivo della sceneggiatura, ma, se ci è permesso un appunto, suona piuttosto male la giustificazione della nascita di Prima Linea e in generale del terrorismo rosso in Italia. Il film comincia con una lunga rassegna di crimini attribuiti agli estremisti di destra: Italicus, Piazza della Loggia, Piazza Fontana e via dicendo. Mai più senza armi urlavano gli extraparlamentari, è vero. Ma da qui a giustificare la nascita di organizzazioni che faranno scorrere fiumi di sangue innocente ne passa. Perché uccidere un caporeparto come rappresaglia a un attentato fascista? La teoria della genesi attribuita alla pura reazione non regge affatto. Tantè che allepoca venne usata da entrambi gli schieramenti.



Ciò detto passiamo al lungometraggio. Se uno dei termini di paragone utilizzato dallo stesso regista è “Buongiorno Notte” di Bellocchio le speranze di vedere un buon film si assottigliano vertiginosamente. La piacevole sorpresa è che il prodotto risulta assai migliore di questa fonte ispiratrice. Forse lo stesso De Maria non se ne rende conto oppure le sue dichiarazioni sono da iscrivere all’interno della pratica cavalleresca in uso fra gli artisti della cinepresa. Fatto sta che in tale affermazione risiede anche la presa di distanza dal caso Moro. Dice infatti De Maria di aver voluto spostare l’attenzione dai drammatici giorni di quell’efferato omicidio per focalizzarla sul contorno storico, verso quelle «migliaia di terroristi e decine di migliaia di fiancheggiatori, la maggior parte, oltre il 65 per cento, abbondantemente sotto i trenta, parecchi addirittura sotto i vent’anni».

Ci convince l’intreccio formato dalla cornice, la storia dell’evasione di Susanna Ronconi dal carcere di Rovigo organizzata da Segio, che fa da sfondo ai numerosi flashback mediante i quali si ricostruiscono le vicende del movimento dai cortei in università fino alla spirale di sangue. Un po’ meno ci convincono i dialoghi con qualche scivolone “giovanilista” del tutto inadatto alla seriosità ideologica del tempo, ma forse funzionale a rendere umano il clima della compagnia. E proprio qui sta la nota dolente: sarebbe stato interessante approfondire forse un po’ di più i risvolti psicologici dei componenti, anziché lasciare spazio a giudizi un po’ freddi e superficiali sui loro misfatti. Sì, Segio/Scamarcio si rende conto del rischio di perdere la propria umanità, ma non è chiaro quale sia la leva di questa presa di coscienza. La famiglia di operai “casa e chiesa”? Mah.

Da questo punto di vista “La Meglio Gioventù” di Marco Tullio Giordana è un’opera di molte spanne superiore.

 

Per il resto il film scorre veloce, il montaggio è fresco e agile, gli inserti storici tratti da filmati originali dell’epoca sono a dir poco struggenti e la ricostruzione storica quasi impeccabile. Sotto sotto viene la voglia di leggersi il libro su cui si basa la narrazione, e questo è sempre un buon segno. I due bellocci Scamarcio e Mezzogiorno non risultano sproporzionati a una parte che interpretano con tutti i sacri crismi. Tra parentesi: perché non si cita l’appartenenza al gruppo del Comandante Alberto ovvero Marco Donat Cattin? Restano i segni di un’evidente inferiorità europea, non solo italiana, rispetto a Oriente e USA, nella resa delle sequenze d’azione, in particolar modo delle sparatorie. Sebbene il navigato De Maria, reduce da 25 episodi di “Distretto di polizia”, ne esca assai più dignitosamente di molti altri suoi colleghi.

Per concludere, un film senza infamia e senza lode con alcuni spunti molto interessanti. Terrorismo tabù sdoganato? Magari. Sicuramente pellicole come questa rappresentano segnali positivi, ma la strada è ancora lunga e gli scontenti saranno ancora molti.  

 

(Ruggero Collodi)

 

 

 

Regia: Renato De Maria

 

Sceneggiatura: Sandro Petraglia, Ivan Cotroneo, Fidel Signorile, Renato De Maria

 

Produzione e distribuzione: Lucky Red

 

Paese: Italia – Belgio

 

Interpreti: Riccardo Scamarcio, Giovanna Mezzogiorno, Fabrizio Rongione, Dario Aita, Michele Alhaique, Jacopo Maria Bicocchi, Angelo Campolo, Piero Cardano, Claudia Coli, Francesca Cuttica, Franco Demaestri, Marco Iermanò, Anita Kravos, Lucia Mascino, Cristina Pasino, Umberto Petranca, Ugo Piva, Maurizio Pompella, Gilda Postiglione Turco, Giorgio Sangati.

 

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