Giornali e siti web sono stracolmi di commenti sulla vicenda del famosissimo golfista Tiger Woods, il primo atleta al mondo ad aver superato la barriera del miliardo di dollari in vincite e soprattutto in contratti pubblicitari. La notizia che fa scalpore non è però questa: bensì l’improvviso abbandono di tutti gli sponsor e il blocco di tutti gli spot e le campagne in cui compare a causa della improvvisa scoperta di decine di tradimenti alla moglie con donne di ogni genere (pornostar incluse).
Una improvvisa ondata di perbenismo? Proprio nel mondo dove impera il cinismo commerciale?
No, si tratta del semplice rispetto di alcune regole del gioco, alle quali, soprattutto negli Stati Uniti, si fa molta attenzione in fatto di testimonial. E Tiger Woods, queste regole, non le ha rispettate.
Per capire meglio occorre fare un passo indietro. Cos’è un prodotto di marca? Che cosa lo contraddistingue da un prodotto qualunque?
La fedeltà alla promessa di qualità. L’azienda che lo produce ha investito per anni in innovazione, produzione, pubblicità, per fare in modo che i consumatori ne siano sempre soddisfatti. Al di là di tante critiche strumentali, un prodotto che investe molto in pubblicità, è condannato alla qualità, altrimenti i consumatori prima o poi si ribellerebbero di fronte a promesse non mantenute. Anche in tempi di crisi c’è sempre chi è disposto a pagare un po’ di più per avere qualità superiore.
Abbiamo quindi parlato di un patto di fedeltà tra l’azienda e i consumatori.
Ecco perché la faccenda diventa molto delicata quando in pubblicità si fa uso di testimonial, pratica che spesso è una fin troppo facile scorciatoia. Già è difficile stare in equilibrio tra le promesse a volte volutamente iperboliche di una comunicazione sempre più spettacolare e quindi assai sul filo del rasoio, figuriamoci cosa può succedere quando si affida in toto l’immagine di un prodotto a un testimonial.
A fronte di compensi miliardari, egli si deve impegnare per contratto a essere sempre coerente anche nei più piccoli comportamenti personali con i “brand values”, ovverosia i valori della marca e del prodotto che ha accettato di rappresentare.
In molti casi si giunge addirittura a concordare vere e proprie linee di comportamento da tenere nelle più diverse situazioni, perché il testimonial è diventato per l’appunto, come dice il nome, il testimone della qualità e dei valori in gioco.
Figuriamoci cosa accade se improvvisamente, il campione dei campioni, esempio per milioni di sportivi e appassionati, marito modello e padre di due bimbi, vede pubblicati dalla stampa oltre trecento sms a luci rosse che una delle sue amanti ha conservato e inviato alla stampa forse perché non abbastanza soddisfatta dei regali per tacitarla.
La scoperta che il marito e padre modello era in realtà un irrefrenabile assatanato del sesso estremo, ha scosso alla fondamenta il patto di fedeltà alla qualità dei comportamenti di cui abbiamo parlato.
Figuriamoci cosa è successo quando è stato trovato coinvolto in uno “strano” incidente d’auto, che pare sia servito a mascherare il fatto che la moglie abbia tentato di accopparlo per vendetta con le sue mazze da golf.
Altro che mondo dorato del golf, del jet set e della pubblicità. Dal giorno di quell’incidente, i dati Nielsen rivelano che nessuna delle grandi catene né alcuno dei 19 canali via cavo ha più mandato in onda un solo annuncio nel quale compare Tiger Woods.
Ma guarda, nell’era del permissivismo e del relativismo più spinto, è proprio la pubblicità a ricordarci che un patto di fedeltà non può essere impunemente violato…