Eric Bishop consegna lettere, tifa per il Manchester ed è depresso. Il lavoro non va a gonfie vele e i due ragazzi abbandonati sotto il tetto di casa sua da un’ex convivente lo fanno disperare (uno è addirittura finito nei giri loschi della malavita).

Le cose non migliorano quando sua figlia (da lui abbandonata quando era ancora in fasce) gli chiede di badare per un’ora al giorno alla nipotina: un favore che farebbe piacere a qualsiasi nonno, ma non a Eric, che in questo modo è costretto a rivedere Lily, la sua ex moglie di cui è ancora perdutamente innamorato.

Triste e confuso, il povero Eric non riesce a sopportare questa situazione e cade in depressione: si chiude in casa, non consegna più le lettere, si rifiuta di vedere una partita di calcio, cerca di evitare gli amici. Ma una sorpresa lo attende dietro un angolo: il calciatore Eric Cantona comparirà magicamente nella sua vita, diventando per lui una guida spirituale.

Il celebre calciatore (o, per meglio dire, la sua proiezione) farà comprendere a Eric i suoi errori, riuscendo a mettere in luce anche i suoi pregi, accompagnandolo per mano lontano da quel mal di vivere che l’ha intrappolato.

Anche un regista militante e socialmente impegnato come Ken Loach ogni tanto ha bisogno di sognare. Ne è una prova questa favola proletaria, che per la prima volta mette alla prova la sua rodata maniera cinematografica, con un modo di narrare che sembrerebbe apparentemente distante dal suo mondo.

Coadiuvato dalla solida sceneggiatura scritta dal fido collaboratore Paul Laverty, Loach trova un equilibrio perfetto tra la commedia surreale e il dramma umano, facendo diventare il film non solo straordinariamente compatto nella sua evoluzione narrativa, ma soprattutto solido dal punto di vista dei temi affrontati.

Loach, rimanendo sempre e comunque fedele a se stesso, non chiude gli occhi di fronte alla realtà e questa sua commedia non si trasforma di certo in una favoletta hollywoodiana: l’arrivo di Cantona non è l’apparizione di un mago o di una fatina che guarisce il malato con un colpo di bacchetta. Il percorso di riabilitazione di Eric, infatti, è tutt’altro che indolore, perché il protagonista dovrà avere la forza di cercarsi, di prendere coscienza di chi è veramente (e il titolo originale del film Looking for Eric, in questo caso risulta più incisivo di quello italiano).

Anche se in un primo istante potrebbe sembrare una pellicola distaccata dal percorso di Loach, Il mio amico Eric ha nei suoi temi un legame profondo con la filmografia del regista, primo su tutti la rivalsa della working class sul mondo, diventata però in questo caso una rivoluzione personale che passa attraverso l’aiuto della collettività. Ken Loach sembra dirci che l’unica salvezza risiede nell’amicizia e nella solidarietà del gruppo, in un mondo come questo, dove il compagno di squadra e il collega di lavoro non sono un alleato ma un avversario con cui si è in competizione.

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Il mio amico Eric non è quindi semplicemente un film sull’amicizia ma, in modo più provocatorio, un film contro l’individualismo, contro quei numeri 10 che pensano troppo spesso al goal e non all’azione di gioco. Lo stesso Cantona, nel film, ammette che il momento più bello della sua vita non è stato un goal, ma un passaggio che ha portato un compagno di squadra a fare rete.

 

In quella scena c’è il senso più profondo del film: Cantona aiuta Eric che, dal canto suo, ha però il coraggio di rischiare, di mettersi in gioco, di vincere come di perdere perché – ed è sempre Cantona a ricordarcelo – bisogna sempre avere fiducia nei propri compagni di squadra. Letto all’interno di questo percorso, il lieto fine non suona né falso né retorico, così come anche una delle scene più surreali della pellicola (quella della moltiplicazione carnevalesca di Cantona), non risulta per niente frivola, pur mantenendo intatto il suo umorismo.

 

Steve Evets (al suo primo ruolo importante) è un perfetto protagonista per questo film. La sua interpretazione passerà però in secondo piano (almeno a una prima visione), perché la nostra attenzione sarà completamente catalizzata dalla prova straniante e ultraterrena di Eric Cantona che, oltre ad interpretare se stesso, ha rivestito anche il ruolo di produttore e scritto con Laverty le battute che pronuncia durante il film.

 

Con Il mio amico Eric, Loach alterna leggerezza e dramma, finendo inavvertitamente col realizzare il suo film più completo e accessibile al grande pubblico; senza peraltro tradire i suoi ideali, grazie a una storia capace di parlare dei problemi di questo nuovo mondo, ma soprattutto di proporre una soluzione.

 

 

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Trailer fornito da Filmtrailer.com