Durante gli anni dell’ultima guerra mondiale, un grande economista austriaco esule negli Stati Uniti, Joseph Schumpeter, analizzava il capitalismo e scriveva con grande lucidità che la borghesia (il prodotto sociale del sistema produttivo) rappresenta una comunità tipicamente antieroica. Non c’era alcuna condanna in questa constatazione. Anche se in quei tempi, giovani americani e inglesi, così come quelli di altri Stati borghesi, si battevano sui campi di battaglia in tutto il mondo contro il nazismo e quindi potevano rappresentare una variante significativa all’analisi di Shumpeter.



Ma non c’è dubbio che la vocazione mercantile, la misura delle azioni umane basata sul denaro e sul suo possesso, è una razionalizzazione progressiva della storia della società e inevitabilmente comprime ogni slancio epico, travolgendo persino antiche e radicate aspirazioni umane ontologiche. Non si sfugge da questa regola della domanda e dell’offerta, dalla regià di un potere dalle molte fecce che è modellato su questa struttura e che a sua volta modella un’intera società, in tanti modi.



Guardiamo al cosiddetto share televisivo di lunedì 9 febbraio. Alle 8 e 10 di sera muore Eluana Englaro e dovrebbe lasciare senza fiato un intero Paese, perché, comunque la si pensi, quella ragazza in coma è diventata un simbolo contrapposto tra due culture. Il fatto assume anche un peso politico, ma non è solo un fatto di “palazzo”, bensì un evento improvviso che sfugge anche alla sua prevedibilità protocollare e coinvolge anche il mondo della nuova comunicazione globale, che qualcuno scambia ancora per il pianeta nobile dell’informazione di un tempo eroico che non esiste più.

Dicevamo dello share, cioè dell’audience televisiva: chi ha vinto lunedì 9 febbraio in prima serata, dopo che i grandi network modificavano i palinsesti? Ma naturalmente il “Grande Fratello”, con tutte le isterie di (apparenti) banali protagonisti che lottano disperatamente per conquistare “grana e fama”. Più di otto milioni di telespettatori, incollati di fronte all’immagine di liti da ballatoio, che poi riflettono quelle vere e casalinghe. Otto milioni, una grande audience che solo il Festival di Sanremo riuscirà a superare per una trasmissione-intrattenimento che è quanto di più calzante nell’immagine di questa società: anno 2009, crisi finanziaria mondiale in corso e depressione generale per mancanza di dividendi azionari e obbligazionari, con regali, acquisti, consumi e viaggi esotici in comitiva necessariamente ridotti.



In pratica, il “Grande Fratello” ha fatto il doppio di spettatori della diretta in “prima serata” di “Porta a Porta” condotta dall’impareggiabile “gran camerlengo” del dibattito politico e sociale televisivo di questi anni, l’ineguagliabile Bruno Vespa.

Non c’è nulla da indignarsi in questo raffronto e nemmeno da restare stupiti. Occorre prendere atto, realisticamente, di come è modellata la società italiana, che cosa vuole veramente, che cosa vuole sentirsi dire, che cosa intende ascoltare e in quali personaggi immedesimarsi. Chi nega questa evidenza, che la matematica scandita dagli ascolti televisivi ci insegna, fa un peccato di presunzione e lo condisce persino d’ipocrisia. La tragedia è un fatto eroico, degno della polis greca, a cui doveva seguire uno spettacolo di decantazione che faceva riprendere tono agli spettatori. Che cosa c’entra una tragedia, anche se vera e attuale, in un società che sta perdendo letteralmente la testa per una crisi finanziaria, provocata per giunta solo dalla sua avidità ? Quando poi tante tragedie sono diventate fiction televisive, a volte addirittura morbose.

Non mancano le ribellioni a questo stato di cose. Si parla del “potere televisivo” e mediatico, come un monolite che sa condizionare tutto, con i suoi “personaggi” che diventano modelli di imitazione. Ma in realtà, questo ragionamento regge poco, perché il potere mediatico è multiforme, provoca reazioni e divide anche politicamente. In più, trovare oggi un’informazioni affrancata dalle grandi lobby (non solo finanziarie) in competizione tra loro è come cercare un ago nel pagliaio.

Se si prende atto di questa realtà, ci si chiede a che cosa serva la ribellioni di Enrico Mentana, ribelle verso i vertici di Mediaset che non hanno modificato il palinsesto in “prima serata” cancellando il “Grande Fratello” e quindi impedendo l’informazione? Serve a poco o nulla, perché è come la scoperta dell’acqua calda. Mediaset assicura una discreta e possibile informazione, così come fa la Rai. Ma pensare che questi network, che si sono persino inchinati alle immagini di guerra come le playstation, che devono stare attenti ai bilanci (cioè all’antieroica società regolata dal denaro) diventino testimoni di una tragedia, che già tutti hanno voglia di dimenticare, è un sogno da praticante giornalista, sia per quanto riguarda il dimissionario sia per quanto riguarda i suoi colleghi giornalisti del Cdr e dell’assemblea. Nella razionalità di questa società, hanno ragione Mauro Crippa, Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi. Diremo di più: Vespa, con la sua diretta, ha limitato le perdite di share che la Rai subisce regolarmente il lunedì.

Intendiamoci, ci sembra solo un discorso realista, non di certo confortante. Ma una società che sbandiera diritti umani e solo “pelosa” sensibilità, per poi dimenticare tutto in poco tempo e adeguarsi allo schema del pressapochismo e del benessere in senso lato, non può produrre altro. E qui, a nostro modestissimo parere , il discorso diventerebbe molto complesso e prima della televisione dovrebbe riguardare l’antropologia di questa umanità, godereccia e dolente allo stesso tempo, euforica e lamentosa a seconda dell’oroscopo mattutino. Come hanno sempre imparato a vivere le persone? Dai loro genitori, dai loro educatori, dai loro maestri. Se si abdica a questo ruolo e lo si consegna alla televisione, anche la tragedia di Eluana si impoverisce e quindi si preferisce il modello del “Grande Fratello”. E’ un assurdo, il “teatro dell’assurdo”, il regno dell’assurdo. Ma è reale e vero.