Chi si fosse avventurato nella concitata visione di Gossip Girl, che stasera giunge alla 14ma puntata su Italia 1, si sarà più o meno reso conto dell’irreale universo che questa serie rappresenta. Del resto bastava già dare un occhio alla precedente opera di Josh Schwartz, il tanto discusso The O.C., per capire che nei suoi telefilm la realtà è solo un pretesto, quasi una sorta di fondale, una cornice, per ospitare le nevrosi della borghesia americana. Un’impostazione lodevole per un mondo, quello del piccolo schermo, sempre più rivolto all’appiattimento e all’azione fine a se stessa, tanto meglio se scabrosa. Ma nonostante l’intento meritorio il risultato alla lunga non tiene. Ciò spiega l’effetto di immediato consenso e del seguente e altrettanto repentino insuccesso, in USA e in Italia, che contraddistingue le produzioni del giovane e cinico autore.



Quale difetto fa saltare l’ingranaggio?

Partiamo da alcune considerazioni.

Si nota una forte messa in ombra del contesto a favore di un risalto delle situazioni. In poche parole: sia The O.C. sia Gossip Girl partono da premesse che potrebbero anche esser considerate interessanti. Nel primo caso un giovane ragazzo di strada, facile alle risse e alla trasgressione, viene preso e gettato nel mezzo del jet-set californiano, una sorta di Una Poltrona per due molto radicalizzata e assai più drammatica. Nel secondo una ragazza la cui identità rimane sconosciuta per tutta la serie, si diverte e rendere pubbliche, mediante il web, le scandalose vite dei ricconi che abitano l’Upper East Side di Manhattan. Ma, a fronte di tali premesse, la debolezza con cui viene riprodotto l’ambiente in cui i protagonisti si muovono, alla lunga, si fa sentire. Una serie di coincidenze che hanno dello straordinario, figure gregarie ridotte a macchiette, una diffusa e illogica sensualità, anche nelle situazioni che meno si attaglierebbero, rendono il tutto una paccottiglia tragicamente ripetitiva.



La sceneggiatura, sebbene spesso brillante, paga continuamente il fio di una contraddittorietà di fondo. Se da un lato infatti è apprezzabile la prontezza delle battute dall’altro entrambe le serie sono attraversate da un vuoto incolmabile di senso esistenziale che spinge ogni individuo a trovare la propria distrazione nel lavoro o nel divertimento. Ma il punto è che a tale assenza di prospettive non corrisponde quasi mai un’autentica riflessione. Ci si trova di fronte a due mondi, quello di coloro che criticano la sfrenata libido borghese e quello di chi la difende incarnandone perfettamente i connotati dell’adepto. Ma entrambi gli schieramenti sono vittime di un perenne gioco di equilibri senza soluzione di continuità.



L’adolescente nevrotico e riflessivo, che spesso abbraccia gli ideali liberal, non ha in realtà più battaglie autentiche da combattere: l’omosessualità si dà per scontata, così come l’integrazione razziale, l’emancipazione dalla religione e la libertà sessuale. Finita la battaglia, non resta che godere di tutta una serie di diritti.

Il suo contraltare, il “giovane ricco” dal sapore tutt’altro che evangelico, lo schernisce vedendo, proprio in quel godere, la condivisione di un modo di vivere professato da secoli di sempre più banalizzata cultura conservative. «Hai combattuto a lungo il mio stile di vita, per poi divenire come me», sembra dirgli.

L’unica differenza consiste esclusivamente sul conto in banca, su quanto più o meno si può fruire di un mondo che in realtà, gratta gratta, non ha più nulla da offrire.

Restano a questo punto gli pseudo problemi. L’andirivieni di rapporti affettivi e familiari confusi, la competizione scolastica, intellettuale, l’eccellenza nel sapersi destreggiare in duelli verbali vieppiù piccanti. Tutto qui.

Sorge quindi il dubbio che, sebbene tale prospettiva, in molti frangenti rispecchi davvero lo stato delle cose, in realtà il mondo giovanile abbia ancora qualcosa da offrire al di là dei grossolani stereotipi che lo rappresentano. È proprio per il fatto di non riconoscersi del tutto in questi che, a lungo andare, i giovani telespettatori preferiscono cambiare canale. Il dramma è che poi cambiando canale rischiano di imbattersi in Amici.

È forse giunto il momento di riconsiderare l’adolescenza, il microcosmo di rapporti e valori che, si spera, ancora esistono nelle generazioni ’90 e offrir loro, se non dei modelli, almeno un’arte e degli spettacoli degni di questo nome.

(Ruggero Collodi)