Gli operatori della comunicazione si stanno domandando con sempre maggiore frequenza quali possono essere gli effetti della crisi sul sistema dei media. Illuminanti, a questo proposito, sono stati i contenuti del convegno organizzato dall’Upa (l’associazione degli investitori in pubblicità) che, pur deciso molti mesi fa, si è aperto con un titolo davvero emblematico.



“Tutto cambia. Cambiamo tutto?” costituiva un invito a prendere atto del cambio di paradigma oramai palese. Dalla platea dell’Auditorium di Roma si è potuto così assistere alle più diverse reazioni alla crisi, con accenti che andavano dalla difesa di scricchiolanti rendite di posizione fino ad atteggiamenti fiduciosi nell’intelligenza creativa capace di scovare opportunità dietro i problemi.



Nella diversità di accenti, alcune ipotesi sono apparse consolidarsi definitivamente: il fatto che la crescita dell’offerta televisiva digitale, satellitare e web stia modificando in forma significativa la dieta mediatica di importanti fasce di popolazione, senza però impedire alla tv generalista di aumentare addirittura i suoi ascolti complessivi. In notevole crisi la carta stampata, sempre in grande spolvero internet anche grazie ad un fuoco di fila di innovazioni.

Riguardo agli investimenti, è meglio parlare di trend, in quanto le nude percentuali possono trarre in inganno: pochi punti di flessione su una base di mercato molto ampia possono costituire un bel guaio, mentre anche molti punti di crescita su una base ristretta colpiscono in termini assoluti, ma non significano molto in termini relativi.



Evidente a tutti che la crisi determina un effetto deprimente sulla spesa, sia delle aziende che delle famiglie: i budget pubblicitari vengono ridotti e tagliati, mentre i consumi si ri-orientano secondo nuove priorità. Il clima di generale depressione provoca effetti che in alcuni casi possono sembrare paradossali: la gente sta più in casa e quindi guarda più la tv, e questo spiega la crescita della platea televisiva.

Significativi spostamenti avvengono però all’interno di gruppi di utenti “decisori degli acquisti”, che cominciano a rivolgersi verso offerte tematiche e web obbligando sempre di più gli investitori a “pesare” i contatti, come si dice in gergo tecnico: spiegato in soldoni, significa che può rivelarsi più interessante in termini pubblicitari una platea ridotta ma più giovane e con una certa disponibilità economica, invece di una platea molto vasta ma composta di anziani e pensionati con basso reddito. Il rompicapo da risolvere è come inseguire queste platee nelle loro peregrinazioni tra programmi generalisti, canali tematici e web.

La crisi incide anche sulla scelta dei programmi: aumenta la domanda di evasione dai problemi quotidiani, ma sembra anche crescere la richiesta di un prodotto autorale più intelligente e meno improvvisato. La sfida comune a tutti, investitori, imprese dei media, consumatori, è quella di fare meglio con meno risorse, il che non è per nulla facile. Ma è proprio qui che si gioca la capacità di sapere affrontare il cambio di paradigma innovando seriamente invece di ripararsi sotto un ombrello aspettando che spiova.

Le esperienze straniere presentate proprio al convegno dell’Upa (Huffington Post per il web e Droga5 per la pubblicità) hanno dimostrato un tasso di innovazione stupefacente senza ricorrere a enormi investimenti: chi vuole cambiare sa quindi a cosa ispirarsi.