Dopo una serie di riflessioni alquanto critiche su Facebook e dintorni ad opera di intellettuali e opinionisti, il terremoto d’Abruzzo ha riportato sugli scudi i social network, grazie ai quali in tempo reale si sono potute diffondere sulla Rete informazioni che i mezzi tradizionali come la tv – assai più lenta come macchina da avviare – hanno ripreso solo molte ore dopo. Si è scoperto che grazie a Facebook e soprattutto Twitter, molte persone si sono subito ritrovate o hanno avuto informazioni immediate su cosa stava succedendo o su dove serviva un aiuto urgente. Come alcuni hanno giustamente notato, i social network hanno svolto in forma ben più diffusa il compito che in simili casi di emergenza ha svolto in passato la rete dei radioamatori. Ma nemmeno dopo un giorno è subito ricominciata l’opera di demonizzazione, perché in mezzo ad una miriade di iniziative benefiche si sono intrufolati lestofanti molto abili nel creare raccolte di denaro per opere caritative inesistenti.
Il carico da undici ce l’ha messo Viviane Reding, Commissario per la Società dell’Informazione della UE: “Se non si fa presto qualcosa per controllare le tecnologie invadenti, la Rete può trasformarsi in una giunla”. Commentando queste affermazioni, con il suo solito acume Beppe Severgnini ha scritto: “Troppo tardi, lo è già. Starne fuori? Impossibile: dentro la giungla, oggi, c’è la velocità e la varietà del mondo. E’ bene però conoscerne i pericoli. Non tutte le bisce sono pitoni, infatti, ma troppi pitoni fingono di essere bisce”.
E’ del tutto evidente che la nascita del web ha favorito lo sviluppo di una serie di innovazioni talmente significative da mettere in crisi il mondo dell’informazione, dello spettacolo e della pubblicità. E’ altrettanto evidente che molte di queste hanno effetti imprevisti, come è successo per scoperte che in altri campi hanno cambiato la storia del mondo (una per tutte, la fissione dell’atomo e poi la fusione nucleare ad opera di Einstein, Fermi, Oppenheimer…).
Quello che sorprende, è lo scoprire una classe politica (ma anche intellettuale) assai poco attrezzata ad affrontare i fenomeni nuovi. Così le reazioni oscillano tra un acritico entusiasmo e una ottusa chiusura…passando per azioni che nulla hanno a che fare con il diritto e molto con la paura degli elettori (come è successo in Francia dove Sarkozy si è visto sabotare dalla propria maggioranza le misure contro il download illegale di contenuti audiovisivi per paura della reazione degli internauti).
Ora, finchè esiste il diritto d’autore, è giusto proteggerlo. Né il fatto che per anni le multinazionali del disco –solo per fare un esempio – abbiano realizzato profitti spropositati su ogni singolo cd può autorizzare ogni sorta di esproprio proletario: una soluzione va trovata, oppure si elimini il diritto d’autore invece di lasciarlo infrangere impunemente e apertamente per paura delle reazioni popolari. Non è il caso però di abbattere tutta la giungla, basta aprire qualche buon sentiero, come ha cominciato a fare I-Tunes e tra breve farà anche Murdoch con il nuovo Qtrax. Un altro problema/opportunità è costituito dal fatto che il web ha rimesso in discussione l’industria dell’informazione, distruggendo un consolidato modello economico e lanciando una sfida chiave per i mass media del ventunesimo secolo. Tutti gli editori, indistintamente, stanno cercando di capire come intercettare un nuovo fatturato a fronte di quello che stanno perdendo ad esempio con la riduzione delle vendite dei quotidiani. “Chi ha cominciato a sperimentare per tempo sull’informazione on-line – ha affermato Jon Klein, presidente della CNN (in un convegno organizzato di recente dal National Press Club americano, dall’Università George Wahington e dall’Università di Harward) deve essere prudente ma anche ottimista. E noi lanceremo qualcosa di nuovo quest’anno, dopo esserci consultati con molti editori della carta stampata, della radio e della tv”. Nello stesso convegno Alberto Ibarguen, presidente della Knight Foundation, ha dichiarato che insieme al problema del fatturato c’è il cambiamento psicologico che deve affrontare il giornalismo, accettando la trasformazione del lettore da semplice fruitore di notizie in utente di notizie che interagisce con l’informazione.
Ultima, ma non meno importante, c’è la questione della pubblicità “mirata”, sollevata dalla Reding che teme una eccessiva intrusione nella privacy delle persone. Anche qui “est modus in rebus”: sono davvero l’occhio del “Grande Fratello” i programmi di rilevazione automatica che sottopongono promozioni di prodotti e servizi vicini alle ricerche che sto facendo sul web? Occorre impedirlo del tutto o cercare –come nel caso delle soluzioni alternative al download illegale – di evitare che tutti i miei dati personali vengano immagazzinati e usati a scopo fraudolento? Anche perché in questo modo la pubblicità si presenta più come servizio che come interruzione…