Si apprende, senza alcun motivo di stupore, che una neonata rete televisiva turca, Kanal T, programmerà dai primi di settembre un “reality show” il cui titolo, tradotto, significa “Penitenti in gara”. Il vincitore tra 10 concorrenti tutti rigorosamente atei, se si convertirà ad una delle grandi religioni che verranno proposte, vincerà un pellegrinaggio a Gerusalemme, in Tibet, alla Mecca.
Perché affermo che non c’è da stupirsi? Perché una volta accettato il concetto che il supremo valore, per una tv, è fare audience, come si fa a chiedere rispetto per ben altri valori? Non a caso Kanal T sta catalizzando l’interesse del pubblico turco a causa dell’eccentricità del suo palinsesto. Poiché è diretta in maggioranza da donne (mentre la mente del reality è un famoso transessuale, Seyhan Soylu, detto Sisi), colpisce anche il fatto che sia il sesso femminile a tirare calci nello stomaco del conservatorismo turco. Forse è una qualche forma di vendetta.
Tempo fa una grande società di produzione internazionale aveva annunciato un reality ambientato in una casa con malati terminali di cancro. Di fronte a una levata di scudi di portata mondiale, fece una clamorosa marcia indietro, e fu detto che era stata solo una provocazione per richiamare l’attenzione sul problema. Personalmente non ci ho mai creduto, conoscendo i personaggi in questione, proprio quelli che pensano solo all’audience. Semplicemente avevano capito che stavano superando un limite invalicabile.
Ugualmente poco credibile la difesa del vicedirettore di Kanal T, Ahmet Ozdemir, che sostiene che un programma del genere sarà molto utile per far conoscere al pubblico qualcosa di più sulle grandi religioni del pianeta. Anche un reality potrebbe servire ad acculturare il popolo…
Questo sarebbe possibile se il reality non fosse il reality: vale a dire un programma ideato, diretto e gestito da programmisti e autori intimamente convinti che solo la menzogna è verità. Solo chi vuole crederci a tutti i costi può ignorare che dietro ogni mossa, ogni frase, ogni litigio non ci sia una attenta regia, come ci ha ben mostrato The Truman Show: avviene esattamente così, con la differenza che i protagonisti sono molto più consapevoli del personaggio interpretato da Jim Carrey.
E poi per “veicolare” valori veri o anche soltanto frammenti di cultura in un programma che per definizione è cotto e mangiato ogni giorno, ci vorrebbero dei tali giganti autorali come non se ne vedono più in giro da anni.
C’è da domandarsi semmai cosa spinge il pubblico, soprattutto quello giovane, a seguire per ore, giorni e mesi, chiacchiericci noiosissimi: probabilmente aspetta solo il momento in cui cominciano gli intrecci amorosi e sessuali: quindi siamo sempre lì. Probabilmente nel caso turco non si vedranno questo genere di cose (ma chissà che il transessuale non si inventi delle “tentazioni” per i convertiti?): in una società come quella farà certamente e comunque scandalo – e quindi audience! – un programma costruito come un supermarket delle religioni.
Non rimane che osservare con molta amarezza che in genere agli autori televisivi non interessa minimamente elevare il senso critico del pubblico: per il semplice motivo che se avvenisse veramente, poi dovrebbero lavorare di più. Il che è tutto il contrario del cotto e mangiato realizzato con facili e spesso trucidi espedienti.
Quanto alla responsabilità sociale dell’impresa, tutti ne parlano fino alla noia riferendosi a fabbriche di automobili e di formaggini. Mentre sulla responsabilità sociale delle imprese dei media, che influiscono così potentemente sulla mente della popolazione, si preferisce tacere. Un motivo ci sarà…