Una dei tanti dispacci d’agenzia diffusi qualche giorno fa, recitava: «Facebook e MySpace pericolosi, perché causano traumi psicologici che portano a tragedie, compreso il suicidio. Il verdetto è dell’arcivescovo Vincent Nichols, capo della chiesa cattolica in Inghilterra e nel Galles, che in un’intervista al Sunday Times lancia un vero e proprio allarme sui siti di networking sociale. “L’amicizia non è una merce – dice Nichols – l’amicizia è qualcosa che implica impegno e dura quando funziona bene”. L’alto prelato si dichiara preoccupato dalla crescente incapacità di costruire relazioni inter-personali proprio a causa dell’eccessivo uso di messaggini, e-mail e scambi via internet al posto di incontri e conversazioni faccia a faccia o perlomeno al telefono. L’effetto è “disumanizzante”, argomenta, e le comunità virtuali non potranno mai creare circoli di persone “a tutto tondo”. Così, i giovani si ritrovano a coltivare rapporti che, in realtà, non esistono e quando se ne rendono conto, subiscono un trauma psicologico gravissimo. E “tra i giovani spesso un fattore chiave per arrivare al suicidio è il trauma da relazioni effimere”, avverte Nichols».
Come c’era da aspettarsi i giornali hanno titolato su quest’ultima frase, annunciando, con una sintesi ardita che, secondo il prelato inglese, Facebook è accusato di provocare suicidi. Anche leggendo la sola agenzia e non l’intero articolo pubblicato dal Times, si comprende facilmente che il pensiero dell’arcivescovo Nichols è parecchio più articolato e anche ampiamente condivisibile.
Non v’è dubbio alcuno che la nascita del web abbia costituito la vera grande rivoluzione dei media dell’ultimo secolo. Altrettanto vero che le varie applicazioni che sono state poi create, dal motore di ricerca ai social network, stanno cambiando radicalmente il nostro modo di studiare, lavorare, divertirci, socializzare. In una parola, stanno cambiando il nostro modo di vivere.
Alla domanda se la società era pronta ad assorbire e gestire un simile cambiamento sembra proprio di dover rispondere di no. E l’aforisma di McLuhan “il mezzo è il messaggio” si sta trasformando in un’assai amara profezia. La prima bolla di internet lo dimostra: plotoni di topo manager hanno investito cifre folli in aspettative di sviluppi tecnologici senza farsi domande su quali contenuti avrebbero dovuto veicolare e perché. Milioni di persone acquistano di continuo cellulari sempre più performanti in attività multimediali e sempre più scarsi nella connessione telefonica: la popolazione, soprattutto quella rappresentata dalle classi giovanili, è conquistata più che altro dall’aspetto ludico della tecnologia, mentre è sempre più ignara della ricerca di un qualsiasi contenuto di qualità. Decine di migliaia di marketing manager hanno perso inutilmente le notti su Second Life, dimenticando che in natura nulla si crea e nulla si distrugge, e che ciò che è virtuale non può essere reale: e quindi non esiste.
Meglio chiarire, per non essere tacciati di passatismo: in campi come quello aeronautico, industriale, matematico o anche speculativo, le simulazioni virtuali hanno un’importanza fondamentale proprio perché servono a interpretare o ad affrontare meglio il reale. I dolori cominciano quando il virtuale occupa tutto il posto del reale. A quel punto milioni di anni di evoluzione vengono cancellati, la memoria depositata nel cervello rettiliano perde fondamentali punti di riferimento, i rapporti umani si disgregano in una confusione disordinata, senza che un nuovo ordine si affacci all’orizzonte.
Come abbiamo ribadito, il motore di ricerca offre l’opportunità di giganteschi risparmi di tempo, facilitando oltre ogni limite immaginabile studi e ricerche, ma nel contempo notizie e informazioni non verificate e certificate rischiano di fare danni gravissimi. I social network offrono l’opportunità di ritrovare amici persi da tempo nel turbine della vita, scambiarsi pareri, idee, recensioni di libri e spettacoli, ma possono anche illudere milioni di persone che un amico sconosciuto incontrato sul web possa scaldarti il cuore.
Questo voleva dire semplicemente l’arcivescovo Nichols: nell’era in cui trionfa uno dei più performanti mezzi di comunicazione interattiva, il contenuto della comunicazione è diventato talmente nullo o inesistente che – paradossalmente – la gente si sempre più sola. E poiché la solitudine è senz’altro una delle concause del suicidio, ecco che l’eccesso di virtualità, con i suoi finti amici, irreali o surreali, può alla fine diventare una esasperante causa di solitudine.
Don Giussani soleva ripetere che l’educazione è un fatto di mimesi e di esperienza. Nella società virtuale rimane al massimo la mimesi, l’acritica imitazione e venendo meno il principio dell’esperienza, crolla ogni possibile impalcatura sulla quale impiantare rapporti umani di qualsivoglia genere.
Se è questo che vogliamo, stiamo semplicemente desiderando la fine del mondo.