I quotidiani negli Stati Uniti stanno aiutando a difendere le foreste con modalità da far invidia ai più ardenti ambientalisti. In soli cinque anni, dal 2003 al 2008, hanno ridotto di ben il 43% la quantità di carta utilizzata per stampare i loro prodotti, scesa da 675 mila a 380 mila tonnellate lanno.

Peccato che lo abbiano fatto contro il loro volere e che il dato sia uno dei segnali della crisi profonda che sta vivendo leditoria tradizionale. Insieme alla carta, dalle redazioni americane stanno sparendo anche i giornalisti: erano 56.900 nel 1990, adesso sono diecimila di meno. E oltre ottomila di coloro che hanno perso il posto di lavoro sono stati licenziati solo negli ultimi due anni.

Il 2009 sarà ricordato come lanno del crollo degli imperi di carta. Ma anche come un momento di svolta per il mondo dellinformazione, chiamato a inventare in fretta nuovi modelli di business e nuove modalità di comunicazione, incalzato dalla caduta delle entrate pubblicitarie e dalla diffusione delle news gratuite online. Il fenomeno è per il momento assai più vistoso negli Stati Uniti che in Europa, ma londa dello tsunami che si sta abbattendo dallaltra parte dellAtlantico non tarderà ad apparire allorizzonte.

Merita per questo approfondire cosa sta accadendo, anche perché si tratta di un momento difficile per i media sul piano occupazionale, ma nello stesso tempo di una grande opportunità per ripensare il modo stesso in cui viene raccolta, organizzata e distribuita linformazione. Grazie alle possibilità aperte dal digitale, quella che potrebbe venir ricordata come la più grande rivoluzione nei media dallinvenzione di radio e TV – vogliamo dire addirittura dai tempi di Gutenberg? – ha il potenziale di dare uno scossone anche salutare allintero apparato mediatico. E i quotidiani, strano a dirsi, alla fine potrebbero uscirne più forti e importanti che mai.

Per il momento, inutile negarlo, si notano soprattutto gli aspetti negativi della situazione. Negli Usa questanno hanno già chiuso 105 testate quotidiane, piccole e grandi, compreso un giornale con 150 anni di storia come il Rocky Mountain News del Colorado: la sua homepage di addio ai lettori è rimasta congelata su Internet, come un memoriale, alla data del 27 febbraio 2009, quando è uscita lultima copia.

Nel secondo trimestre del 2009 i quotidiani di carta negli Stati Uniti hanno visto scendere i profitti del 30,15% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, e le loro versioni online non stanno meglio, visto che hanno avuto una riduzione della raccolta pubblicitaria del 15,80%. Colpa della crisi e della recessione globale, certo, ma gli esperti concordano nel ritenere che anche quando l’economia si rimetterà in moto, nel settore dei media non ci saranno mai più i soldi di un tempo.

 

D’altronde, basta paragonare i conti del principale gruppo editoriale americano, Gannett, a quelli del principale motore di ricerca online, Google, per capire la situazione: Google ha avuto profitti per 1,4 miliardi di dollari nel primo trimestre del 2009, mentre Gannett ha fatturato una cifra analoga, 1,4 miliardi di dollari, ma i profitti nello stesso trimestre non hanno superato i 58 milioni di dollari.

 

Dei 25 principali quotidiani americani, 23 quest’anno hanno riportato riduzioni della circolazione di copie comprese tra il 7 e il 20%. Colossi come Tribune Co. (Los Angeles Times, Chicago Tribune) hanno dovuto dichiarare già alla fine del 2008 la bancarotta prevista dal cosiddetto Chapter 11, che permette loro di tentare di riorganizzarsi senza dover soccombere ai debiti. Il New York Times ha dovuto impegnare i “gioielli di famiglia”, primo tra tutti il nuovissimo grattacielo disegnato da Renzo Piano a Manhattan che ospita la redazione, ed è giunto a un passo dal chiudere il Boston Globe, un quotidiano dello stesso gruppo.

 

Eppure i segnali di un cauto ottimismo non mancano. Ma la strada è tutta da inventare e potrebbe passare anche dall’attuazione di una ricetta che farà storcere la bocca a molti: non è escluso che nel giro di poco tempo, insieme all’abbonamento per il cellulare o a quello per la Tv satellitare, ci troveremo a pagare anche una “bolletta delle notizie”.

 

(1- continua)

 

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