Impermeabile alla Colombo, tenerezza di padre e fascino intramontabile di Lando Buzzanca, merlo maschio della commedia allitaliana: il commissario Vivaldi ha tutte le carte per conquistarci ma non le gioca appieno nella prima puntata di Io e mio figlio.

A cinque anni dalla scorsa serie, lo ritroviamo roccioso e umanissimo in una puntata che parte bene ma si sfilaccia via via in una struttura farraginosa.

Difetto che non intacca il primo posto negli ascolti della serata (19.94% di share), difficilmente attribuibile alla sola popolarità di Buzzanca e del suo personaggio.

La serie, produzione Rai Fiction, condensa nelle prime scene lessenza del suo protagonista.

In una Trieste cupamente battuta dai venti, un disperato decide di riconquistare lex moglie barricandosi in casa e minacciando gli astanti con un fucile. Il commissario Vivaldi per proteggere il figlio, in squadra con lui, si offre di riportare il folle a ragione: sotto tiro, saldo come un torero, narra le sue pene damore per Laura (la radiosa Caterina Vertova).

Nei primi cinque minuti cé tutto. Lansia di protezione paterna, lamore inestinguibile per lex moglie.

In particolare é la vendittiana magia dellex, la retorica degli amori indivisibili, che ci fa sognare e tiene in piedi la puntata ancor più delle indagini in corso.

 

Il commissario tocca l’apice del romanticismo con l’interpretazione corposa e impeccabile della Vita Nova dantesca. A minacciare la fiaba l’entrata del gallerista Zorzi che, con ombrose massime filosofiche, corteggia Laura. Una rivalità che si prospetta efficiente motore narrativo per le puntate future.

 

Meno efficace lo svolgimento dei due filoni d’indagine. Dapprima il caso di una coppia sequestrata vede subito indiziato il figlio Davide, prototipo dell’artistoide squattrinato, incattivito dal fallimento. Grazie a Vivaldi si smaschera la diabolica macchinazione del patrigno, in combutta con la fidanzata del cornuto e mazziato artista.

 

Davide si redime e, nel pacificante finale caro al giallo televisivo italiano, dona parte dell’eredità a una mensa dei poveri, sotto lo sguardo benevolo di un paterno Vivaldi.

 

Il secondo caso, senza tranquillizzante soluzione, ci accompagnerà nelle prossime puntate. La morte di Sangermano, noto fisico in possesso di losche equazioni, riapre l’antico mistero mai risolto del rapimento di una ragazzina. Nel finale si fa strada il tragico sospetto del coinvolgimento di Salvatore, fido amico del commissario.

 

La teneramente eccessiva dichiarazione di Vivaldi all’amico “finché ci sei tu io non ho paura di niente” ci dà la misura della rovinosa tempesta che sta per travolgere gli affetti del nostro eroe.

 

Ma in questa puntata ancora non si piange, né le vicende raccontate riescono a far tremare o suscitare il sorriso. La neutralità di toni determina una narrazione ovattata e priva di sale.

 

 

Meritevole il sobrio realismo dei rapporti padre-figlio. Di fronte all’omosessualità di Stefano il commissario può dire con sincerità “lo accetto così com’e”, senza però smettere di sognare una nuora e dei nipoti. Il figlio, dal canto suo, é mosso a coraggiose imprese dalla ricerca di un’approvazione paterna che crede persa.

 

Un rapporto che, dipinto a toni pastello, offre però quel tanto di tensione necessaria al ritmo narrativo.

 

Controversa la recitazione di Buzzanca: una grazia “vecchia maniera” e tonalità teatrali stonano con l’interpretazione standard degli altri attori. Reduce da alcuni anni in teatro, l’attore introduce un sapore d’altri tempi più consono a un Derrick o un Maigret, che mal si sposa con i violenti flash alla C.S.I., presidio americano un po’ fuori luogo.

 

Il sapiente gioco dei sentimenti, la presenza scenica catalizzante e famigliare di Buzzanca, la riuscita rappresentazione di una famiglia moderna, sono tutti elementi che non spiegano fino in fondo il dato dei 5.118.000 spettatori e la netta vittoria su campioni come Pirati dei Caraibi e House. E’ vero che il grande cinema sul piccolo schermo funziona poco (soprattutto dopo mille passaggi tra home video e pay tv), è vero anche che le serie americane solitamente fanno impazzire i critici ma meno il pubblico nazional-popolare (eppure House è stata l’unica a conquistare un pubblico di massa).

Forse è soltanto il ripetersi di uno schema – sia narrativo che di spartizione del pubblico – tipico della televisione italiana?

 

Qualunque sia la chiave dell’enigma, nei prossimi episodi vorremmo più ritmo e mistero per un commissario che sa essere padre amorevole, ruvido casanova e marito eternamente innamorato.