IL RICCIO – Sogni le stelle, finisci nella vasca dei pesci rossi. In controluce si legge il terrore di unesistenza mediocremente borghese, sbatacchiata tra le miserie del mondo come un pesce nella vasca, e la ricerca tormentosa di vivere sempre allaltezza dei propri desideri. il motto che accomuna Il riccio al romanzo di Muriel Barbery (Leleganza del riccio) cui il film si ispira.

Unidea forte e vera non tradita da Mona Achache: la giovane regista non lasciandosi intimorire dal colosso editoriale della Barbery (700.000 copie vendute solo in Francia), si libera di snobismi e compiaciute lentezze che appesantiscono il romanzo e ci restituisce la limpida asciuttezza di una bella storia.

La vicenda ruota intorno agli abitanti del ricco palazzo parigino dove vivono le due eroine: la sciatta Reneè (nel film lefficace Josiane Balasko), portinaia cinquantaquattrenne che nasconde una raffinata cultura dietro alla volgarità di classe, e la geniale Paloma, sensibile dodicenne alto-borghese determinata al suicidio.

La madre della bambina trascina la sua vita tra antidepressivi e champagne, psicanalisi e dialoghi deliranti con le sue piante ornamentali; il padre, ministro in cattive acque, è troppo immerso nei traffici mondani per chiedersi chi è o chi lo circonda.

Paloma è la lucida e irresistibile erede di una generazione di eroine che va da Mercoledì Addams a Daria di MTV, bambine e adolescenti disincantante, con unintelligenza che preclude loro i volgari divertimenti di tutti. Inappagabili e inconsolabili vittime delle modernità.

Paloma e Reneè sono come ricci, nascoste dietro aculei invalicabili, ferocemente solitarie, terribilmente eleganti, difendono il loro finissimo mondo di romanzi russi e film giapponesi dagli sguardi dei comuni mortali. Entrambe cercano il buon nascondiglio e, un po vigliaccamente, non rischiano limpatto della propria anima bella con la crudele realtà fatta di ignoranti e denaro.

A unire le due anime affini il nuovo inquilino Kakuro, discreto corteggiatore di Reneè e confidente di Paloma. Il ricco giapponese, rappresentante etnico di tutto ciò che non è volgare, si muove nel film con leleganza di una figura disegnata da Hokusai.

Convince la scelta di affidare alla sapiente telecamera di Paloma lunità e il ritmo narrativo. La bambina, che ha deciso di uccidersi nel giorno del suo dodicesimo compleanno, vuole realizzare un film sul mondo che rifiuta, la boccia dei pesci rossi in cui gli adulti rimbalzano come falene impazzite.

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La pellicola amatoriale offre anche il pretesto per innovative scelte stilistiche: esteticamente ineccepibili le scene di animazione e volutamente inquietante il filtro del bicchiere per rendere il mondo/vasca degli adulti.

 

A rovinare in parte il pregevole tessuto del film sono alcuni appannaggi del libro. Fastidioso soprattutto l’elitarismo un po’ adolescenziale del riconoscersi tra anime affini, in un nietzscheano mondo di bruti e informi, dalle letture giuste.

 

Altro neo la polverosa rigidità classista di un mondo in cui è inaudita l’amicizia tra una portinaia e un ricco; un clima antico che sa di sociologia francese anni ‘70 e imbriglia i personaggi in schematismi poco realistici e soffocanti. Ci vorrebbe più autoironia per i nostri colti eroi, la stessa che si assaggia nella succosa scena del Confutatis mozartiano, trionfalmente trasmesso dal water di Kakuro.

 

Nel finale la cruenta realtà della morte entra nel mondo felpato dei tre protagonisti e lo squarcia. Un risveglio alla vita vera che fa perdere alla bambina ogni capriccio suicida e non manca di bellezza e lirismo. Nel film le ultime, toccanti parole di Paloma mettono l’accento sull’amore, non sull’illusione estetica dell’arte che salva tutto.

 

Sarà per questa differenza determinante che la Barbery ha voluto ribadire l’assoluta diversità tra il suo libro e il film? Certo il finale de Il riccio, a suo modo aperto, ci interroga su cosa mai persuada Paloma a non morire e ci fa lasciare la sala con l’antica e mai scontata domanda sul perché si debba vivere.

 

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Trailer fornito da Filmtrailer.com