James Cameron ha vinto la sfida di rivoluzionare per sempre il mondo del cinema? Forse no, però ha sicuramente fatto capire a critica e pubblico che la tecnologia non è semplicemente un giocattolo ma un vero e proprio mezzo espressivo. Tornato sui grandi schermi dodici anni dopo lultimo kolossal del Novecento, Titanic, Cameron realizza con Avatar quello che sarà ricordato come il primo kolossal del terzo millennio. Kolossal perché ha tutte le carte in regola per essere considerato tale: un notevole sforzo produttivo, unavventura epica, unavanzatissima tecnica cinematografica e un carico di ambizioni non indifferenti, tra cui appunto quella di cambiare per sempre il mondo del cinema.

Ex-marine costretto sulla sedia a rotelle, Jake Sully viene reclutato per una missione sul pianeta Pandora, luogo ambito dagli umani per la presenza di un costosissimo materiale che potrebbe risolvere la crisi energetica della Terra. Laria di Pandora è tossica: per questo gli scienziati hanno messo a punto il programma Avatar, che consente agli umani di collegare le proprie coscienze al corpo di un ibrido generato da DNA umano e Navi, gli alieni nativi di Pandora. Iniziata la missione grazie alla nuova identità avatar, Jake fa amicizia con Neytiti, giovane aliena che gli permette di entrare a far parte del suo popolo. Ma gli umani sono pronti ad attaccare i Navi e Jake deve decidere da che parte della barricata stare.

Innanzitutto, dunque, la tecnologia. Luso del 3D in Avatar è assolutamente sensazionale e innovativo: eliminando quasi del tutto leffetto delloggetto che esce dallo schermo (e che appartiene a unidea del 3D decisamente antiquata e banale), Cameron si concentra sulla profondità di campo, realizzando un 3D ancora più spettacolare e coinvolgente. Gli spettatori entrano letteralmente in Pandora, con un coinvolgimento visivo unico, amplificato ulteriormente dallottimo lavoro fatto da Cameron e dai suoi collaboratori sul design dei personaggi e di Pandora, che supera limmaginario lucasiano di Guerre stellari e quello che Peter Jackson ha attuato per la trilogia del Signore degli anelli.

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La performance capture (la stessa tecnica usata da Zemeckis in film come Polar Express e A Christmas Carol) e l’animazione di piante e creature, sono portate all’ennesima potenza grazie ad un fotorealismo spettacolare ed emozionante. A reggere il tutto, una regia senza momenti di stanca, che non rinuncia a sequenze epiche ma riesce anche a ritagliarsi momenti di straordinaria poesia visiva e reale emozione.

Dentro un contesto di apparente finzione, ne esce bene un cast che conferma la bravura di Sigourney Weaver e di Stephen Lang, rivelando anche il talento di Sam Worthington (relegato fino ad ora ad action-movie che non gli hanno dato il permesso di esprimersi totalmente) e soprattutto quello di Zoe Saldana che, pur comparendo sempre “in animazione”, ci regala una performance completa (divertente, commovente, energica) che molto probabilmente la vedrà come prima attrice “in animazione” ad essere candidata agli Oscar.

C’è poi il dibattito sulla storia. Qualcuno ha parlato di somiglianze con Pocahontas, Balla coi lupi e i conseguenti rimandi allo scontro tra americani e indiani, con le accuse di poca originalità per qualche lieve somiglianza con Titanic. Sarebbe bene innanzitutto dire che Avatar è un film che si può leggere su più livelli: può essere apprezzato dagli amanti degli action-movie, dalle amanti del cinema romantico e, in quest’ottica, non è peregrino il parallelo con film precedenti o con momenti importanti della Storia d’America.

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Quello che però colpisce in Avatar è la sua capacità di parlare del presente: Ben Bova nella sua intervista ci ha detto che la fantascienza non ha la capacità e il volere di trasformarsi in scienza, tuttavia ha il potere di entusiasmare i lettori (e gli spettatori) sulle possibilità del futuro e di metterli in guardia sui pericoli prossimi o presenti. È proprio questo che fa Avatar, non semplicemente mettere in campo la lotta tra buoni e cattivi.

Luci e ombre emergono da entrambe le parti, ma il monito finale è inequivocabile. Cameron dipinge un’umanità sull’orlo dell’estinzione (auto-provocatasi), che lancia il suo ultimo grido in una guerra senza senso. È un’umanità distrutta e perdente perché ha abbandonato ogni legame profondo con la natura, in completo contrasto con i Na’vi, che proprio attraverso tale legame costruiscono la propria intera esistenza.

Con questo sottofondo ecologico più coraggioso di ciò che sembra, Avatar si conferma essere un punto fermo che Cameron innesta nella cinematografia mondiale, nella stessa misura in cui lo è stato Matrix. Non tutto è perfetto, come qualche sbavatura nella sceneggiatura (ma in un film di 162 minuti questo è perdonabile) o la colonna sonora di James Horner che è l’unico vero punto debole del film; ma senza dubbio Avatar innalza gli standard del cinema d’intrattenimento che, d’ora in poi, dovrà confrontarsi con un fratello maggiore davvero difficile da superare.