Cè davvero di tutto nel format dimportazione Il più grande italiano di tutti i tempi. I toni entusiasti di Francesco Facchinetti e la severità acuminata di giudici come Sgarbi e Brass, i momenti corali di cultura nazionalpopoalre e i raffinati documentari del professor Aldi. Una commistione di toni, linguaggi, racconti che destabilizza, ma è in linea con la postmodernità in cui siamo immersi.
Dopo unanteprima confusionaria, con lo scambio delle immagini dei grandi quasi fossero figurine nelle mani di bambini, uno sconfinato tricolore ci svela il maestoso studio e le inquadrature epiche che già furono di X Factor. Facchinetti, col suo piglio di gladiatore, ci sorprende con un intro esistenzialista: Chi si ricorderà di noi fra centanni? chiede in raccoglimento. In confronto ai grandi della nostra storia siamo gocce dacqua su un parabrezza. Ma non cè tempo di incupirsi, subito lo raggiunge una colorata Martina Stella, alla sua prima volta in tv.
Si apre così il circo del nuovo show di Raidue, format nato in Inghilterra per la BBC ed esportato con successo in America ed Europa, dove la Francia ha persino trasmesso la puntata finale in Senato. Da noi però non è lorgoglio patriota ad andare in scena, ma un gusto per il varietà e lintrattenimento portato al parossismo.
Il programma è ben strutturato. Una ricerca Eurisko ha identificato 50 personaggi che gli italiani ritengono degni di rappresentare la nostra patria. Una giuria e il televoto procedono allelezione. La giuria, assortita con sapienza (spicca lironia di Sgarbi, Brass e Buttafuoco), elimina un primo personaggio allinterno di una triade di grandi, affidando al televoto la scelta del vincitore tra i due superstiti. Il contatto col pubblico è mantenuto anche da una postazione web e dalla mediazione di Radiodue. Una multimedialità che ci conferma il carattere postmoderno del programma.
Dopo aver ascoltato il parere di esperti, fans, cantanti e frati, si dà il via allimmancabile talk show, perché, si sa, è necessario che tutti dicano la loro. Apprezzabile lumile coscienza del fatto che si sta giocando. In pochi si prendono sul serio e lintrattenimento sfocia difficilmente in guerre di principio alla de Filippi.
La prima triade è incredibilmente disomogenea: Garibaldi, Puccini, Battisti. unidiozia commenta Sgarbi con che criterio scegliete il più grande?. Ma il pubblico non si scoraggia e, a sorpresa, elegge il più elitario Puccini.
Segue una godibile escalation che vede Pappalardo, Britti e DAlessio avvicendarsi dietro alla maschera di Battisti, cantando i suoi successi. Un momento di spettacolo che si chiude alla Carramba che sorpresa con la riunione famigliare dei Facchinetti e il padre Pooh che canta Non è Francesco.
Sgarbi ci assicura colpi di scena e legge in diretta dal suo cellulare messaggi di indignazione per i metodi poco ortodossi del programma. Capitale la scelta di un eliminando tra Giovanni XXIII, San Francesco e Padre Pio: l’indignato Vittorio tenta di astenersi dichiarando la sua indegnità, il malandrino Tinto Brass ricorda una sberla di Giovanni XXIII.
Segue l’eliminazione di Padre Pio e una lezione del novello teologo Sgarbi sulla differenza fra anima e spirito. Se ancora avessimo avuto dei dubbi, l’assurdità della situazione ci conferma che la scelta della giuria è un colpo ben assestato.
A montare la tensione, l’attesa enfatica e “messianica” del salvatore della patria Fiorello, invitato in studio niente di meno che dalle pagine del Corriere della Sera. Un’attesa ripagata largamente dall’irresistibile Rosario nazionale che, con deliziosa ironia, fa strage di quel poco di retorica rimasta.
Dal pubblico l’esperto ci dice che questo è uno spettacolo disseminato di citazioni pirandelliane. Non ne siamo così convinti ma sicuramente Il più grande italiano di tutti i tempi ha lo schizofrenico eclettismo di “Uno, nessuno, centomila”. Impossibile non rimanere sconcertati di fronte alla leggerezza con cui si passa da Pappalardo al Cantico delle creature, dal talk shaw urlacchiato alla grazia delle melodie pucciniane.
Ma questa rapidità che non conosce riflessione e rispetto non ci deve scandalizzare, è solo il linguaggio di un’era che Baricco chiama “barbarica”. Un’era in cui ciascuno di noi deve trovare il suo posto.