«Le vite degli uomini sono così simili tra loro: difficili, grigie, talvolta cupe. Sarebbero insopportabili senza dei barlumi di felicità, i segni della Tua presenza in mezzo a noi». In queste parole pronunciate da padre Popieluszko, la chiave di una storia di martirio che il regista polacco Rafal Wieczynski ha saputo restituirci senza retorica, con l’asciutta sobrietà di ciò che é vero. Abbiamo incontrato a Milano il regista di Non si può uccidere la speranza, in occasione della proiezione del film organizzata dall’Associazione Stalker – Mendicanti dello sguardo (che ha portato Wieczynski in tour in Italia di tre serate a Milano, Ferrara e Rimini) e da Sentieri del Cinema, che ha fatto registrare il sold out al cinema Palestrina di Milano. Ecco cosa ha raccontato il regista a ilsussidiario.net



Popieluszko racconta la storia di un martire che, mosso dalla fede, combatte contro la menzogna comunista per riaffermare la statura autentica dell’uomo. Quali sono a suo parere, nell’Europa odierna, le menzogne che minacciano libertà e felicità umana? E chi é il martire, oggi?

In ogni era è in atto la stessa lotta e il messaggio di Popieluszko è universale, poiché si tratta del Cristianesimo. E’ strano, sembra quasi che distinguere il bene dal male sia stato più facile al tempo di Popieluszko, nella mia giovinezza. Ora invece stabilire dove sia il male è una sfida, definire dove sia la menzogna ci richiede uno sforzo. Eppure la menzogna è intorno a noi: è riporre il significato della vita solo nel nostro piacere. E’ questa la menzogna più diffusa, perché non ci dà vera felicità e non ci fa crescere. Possiamo notare come molte persone, soprattutto nell’Occidente europeo, considerino pericoloso il messaggio di Cristo e reagiscano cercando di emarginare la cultura cristiana.



Ci faccia un esempio

Qui a Milano ho visto per la prima volta il meraviglioso Duomo, un monumento grandioso della cultura, della storia e dell’Europa cristiana, e mi sono chiesto come possiamo negare la cittadinanza a Cristo nella costituzione europea. E’ una grande menzogna che ci circonda e ci fa perdere la libertà. Popieluszko combatteva per la libertà interiore: ora, accettando queste regole conformiste del politically correct, stiamo perdendo la nostra libertà.

Nel suo film ha molta parte la millenaria religiosità tradizionale del popolo polacco. A suo parere, anche in relazione alla recente sentenza europea sui crocifissi, quale ruolo può avere oggi la fede degli avi? È un presidio di tradizione e cultura da preservare o qualcosa di più?



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In Polonia, dopo il 1989, la fede delle persone é divenuta più profonda, ma una parte della società si é allontanata del tutto dalla Chiesa. Chi è rimasto frequenta però le funzioni regolarmente. E’ una scelta. Abbiamo anche molte vocazioni di giovani preti, il nostro paese esporta preti in tutto il mondo. Non vengono dai villaggi ma dalle grandi città, dai nuovi movimenti cattolici. La loro vocazione nasce perciò dal tentativo di capire cosa sia la fede.

 

Cosa significherebbe quindi, in tal senso, rimuovere i crocifissi?

 

Sono felice quando vedo una croce non solo perché fa parte della tradizione ma anche semplicemente perché c’è, perché è un segno, e un giorno potrà assumere un significato più profondo per qualcuno. Ma se viene proibita, allora torniamo ai tempi del paganesimo. Nello scorso secolo, e anche in questo, molte persone sono morte, e stanno morendo, per la croce. E’ una cosa che non dovremmo mai dimenticare.

 

Del suo film stupisce la coralità e il forte senso di comunità, degli operai di Solidarnosc ma anche di tutto un paese unito da qualcosa di più profondo degli interessi specifici. Nell’attuale società si può ancora dire questo “noi”? E come?

 

I polacchi hanno questa capacità di stringersi in comunità quando c’è un pericolo. Solidarnosc aveva questa capacità anche perché si fondava su valori evangelici, il primo uomo di Solidarnosc era, infatti, il Papa. Questa è la ragione. Credo che questa unità sia un’esperienza universale. In Polonia ora, a mio parere, si sarebbe di nuovo uniti di fronte al pericolo. Ma il pericolo, come dicevamo, è diverso da prima.

 

Cosa la spinge a credere questo?

 

Sempre più persone se ne accorgono. Per questo sono sicuro che un giorno arriverà una persona o un movimento grazie al quale l’unità farà ritorno. Ne sono convinto anche quando i giovani, soprattutto in Polonia, mi chiedono di quest’unità con una sorta d’invidia mista a desiderio. Mi chiedono “Come doveva essere meravigliosa quest’unità! E cosa ne avete fatto? Perché l’avete persa?”. E’ un desiderio forte e diffuso: credo perciò che quando ci renderemo conto che stiamo davvero perdendo la nostra anima, la nostra libertà, saremo di nuovo insieme.

 

Che cosa l’ha spinta a venire in Italia?


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E’ molto interessante che io sia qui grazie all’incontro con giovani di Comunione e Liberazione avvenuto negli anni ’70/’80. E il fatto che noi siamo qui a discutere di Popieluszko è anche frutto di quell’incontro, di quella comunione. E’ per quell’incontro che il messaggio di Popieluszko arriva anche in Italia. Quei ragazzi mi hanno invitato in Italia perché, a loro volta, erano venuti in Polonia nel ’70, avendo modo di conoscere la cultura e la religione polacca. E sono venuti perché padre Ricci, il cardinal Wizynszki e Wojtyla hanno lavorato insieme per favorire l’incontro tra Italia e Polonia. E’ un processo fatto di incontri e volti che non si fermerà.

 

Un tema cruciale del suo film é quello dei rapporti tra religione e patriottismo, caratteristici della storia tormentata del suo paese. Come crede convivano e si rapportino queste due dimensioni?

 

Non vi é contraddizione. Popieluszko era sicuro di questo: se la gente non avesse permesso alla menzogna comunista di entrare nel suo cuore, il potere del partito non avrebbe avuto chance di sopravvivenza. E in effetti accadde così: il potere comunista cadde perché le persone smisero di avere paura di dire che era una menzogna. So che da voi in Italia è considerato strano che gli operai chiamino un prete a celebrare messa nella loro fabbrica, ma in Polonia é molto diverso.

 

A cosa sta lavorando adesso?


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Sto lavorando a un documentario per cui ho raccolto materiali riguardo alle popolazioni dei villaggi polacchi tra ‘800 e ‘900, un periodo di grandi cambiamenti nel paese, di grande modernizzazione. Una modernizzazione che venne però dalla Chiesa, non dal socialismo. In questi scritti si parla sempre di un prete che inizia un movimento, un partito, un’azione di cambiamento.

 

Che consigli darebbe a un giovane regista italiano che volesse raccontare una di queste storie?

 

Non mi sento di dare consigli, specialmente ai registi italiani, che ammiro molto. E’ vero, nella vostra storia avete grandi figure di preti. L’unico problema che intravedo nei film sui preti è che sono spesso troppo sdolcinati, sembrano fatti per bambini. L’unico consiglio è di farli per persone pensanti. La cosa più importante è scoprire cosa Dio ci vuole dire tramite quella storia e mettere da parte se stessi. Dio non ha bisogno di essere migliorato dai registi.

 

Quali sono state le sfide più impegnative ed affascinanti, a livello tecnico, che ha incontrato nel corso della lavorazione del film?

 

Ci sono molti effetti speciali nel film. Abbiamo chiesto consiglio a professionisti che hanno lavorato a film di Hollywood, come Apocalypto. Le scene più difficili sono state sicuramente quelle che prevedevano la combinazione di materiale d’archivio e scene recitate, in particolare quando l’inquadratura doveva passare dalla folla alla figura di papa Wojtyla, presente nei documenti storici.  Questo movimento panoramico, culminante nel montaggio di materiale d’archivio, ha richiesto particolare perizia. Gli americani ci hanno fatto i complimenti e ne siamo orgogliosi.

Ci dica un aspetto del suo film di cui va particolarmente fiero

 

Un altro aspetto interessante è la presenza di attori che sono stati testimoni di quei fatti storici e che ci hanno offerto, anche per questo, une recitazione molto naturale. Sono stati usati come comparse nelle manifestazioni anche giovani studenti che, lavorando a fianco dei più anziani, hanno assistito a una sorta di lezione di storia.

 

(Eleonora Recalcati)