A Sir Conan Doyle sarebbe piaciuta questa rivisitazione cinematografica delle avventure di Sherlock Holmes, il leggendario detective diventato un mito della letteratura gialla da fine Ottocento ad oggi. La scelta vincente del regista Guy Ritchie è stata quella di tornare alle origini per recuperare la figura carismatica di Sherlock, investigatore dotato di un’intelligenza acuta e uno spirito d’osservazione fuori dal comune, che gli permettono di collegare indizi in modo sorprendente e lo rendono un mago del metodo deduttivo. Magistralmente interpretato dall’istrionico Robert Downey Jr, rinato dopo un periodo buio della sua carriera, Sherlock Holmes è uomo di mente ma anche d’azione, abile pugile che vede i punti deboli dell’avversario prima ancora di cominciare la lotta, bizzarro inquilino che vive nel disordine e nel caos ma anche uomo dotato di un’ironia dissacrante e un fascino peculiare.

Accanto a lui, l’immancabile dottor Watson è interpretato in chiave anticonvenzionale da Jude Law, che lo rende un elegante gentleman inglese pronto a fare a pugni all’occorrenza, in precario equilibrio tra una donna che vuole sposare (ma non trova mai l’anello adatto) e un amico e collega che reclama la sua attenzione, collaborazione e presenza, arrivando a sabotare in modo sottile e divertente la sua relazione sentimentale.

L’unico ruolo femminile di rilievo, tuttavia, è riservato a Rachel McAdams, che interpreta la donna intraprendente, furba e seduttrice, il cui unico punto debole è proprio l’affascinante investigatore. I due protagonisti sono senza dubbio la miglior carta del film, bravissimi, perfetti nel ruolo e capaci di mangiarsi la storia, che si basa su una trama intrigante ma non memorabile: il caso su cui la coppia deve indagare ruota intorno a Lord Blackwood, accusato di aver commesso omicidi rituali e di voler rovesciare il parlamento inglese, per stabilire un nuovo ordine che sfrutta il terrore e la superstizione per imporsi al popolo.

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Gli eventi si succedono in modo non sempre imprevedibile e forse lo spettatore non si sorprende davvero per la risoluzione del caso, ma non c’è tempo di accorgersi delle lacune nella trama, perchè si viene trascinati nel vortice degli scambi brillanti e serrati di Holmes e Watson, dei ragionamenti incredibili dell’investigatore e degli effetti speciali delle scene action. Con furbizia si è deciso di costruire il caso attorno alla magia, elemento mystery che si inserisce bene nel contesto dell’epoca (siamo nella Londra gotica e dark del 1890) e porta pepe alla vicenda, confondendosi con le innovazioni tecnologiche che ancora sembrano parenti dell’alchimia ma che, come sottolinea Sherlock, rappresentano la porta verso il futuro (che noi spettatori ben conosciamo).

 

E la Londra tardo ottocentesca viene riprodotta magnificamente, giocando sulle tonalità del grigio, del blu e del rosso, con scenografie che a tratti ricordano le illustrazioni e i fumetti e si alternano a riprese realistiche del Parlamento e del Big Ben, rivelando un legame esplicito con la graphic novel del produttore Lionel Wigram. Il risultato è un adattamento del modello letterario ardito e brillante, con qualche stravaganza che tuttavia non stona nel contesto, dialoghi godibili e richiami sottili a precedenti letterari e cinematografici (da Edgar Allan Poe a Batman): un film che può soddisfare chi ama detection, mystery, fumetti ma anche la commedia brillante e umoristica della tradizione anglosassone.

 

Ma sotto la superficie brillante, l’affondo negli intrighi politici, nella corruzione e nel potere subdolo che certi personaggi riescono a costruirsi per influenzare le masse rendono la pellicola interessante anche sotto l’aspetto tematico: non ci si aspetti una riflessione complessa sul problema del Male nella vita umana e nella società, o un approfondimento dei rapporti interpersonali, perchè si rimarrà delusi. Bisogna godersi il carisma travolgente dei protagonisti e cogliere le allusioni alla lotta dei singoli contro un sistema che utilizza qualsiasi mezzo – la giustizia, la politica, la superstizione, le conquiste tecnologiche – per ottenere la cosa più ambita: il potere. Sherlock Holmes, come Batman o Spiderman, usa il suo talento (l’intuizione, la capacità deduttiva) per sferrare un colpo basso alle brutture del mondo: un anti-supereroe, scanzonato ed eccentrico, e per questo ancora più simpatico, che regala almeno la speranza che, finché esistono Sherlock Holmes in giro, possiamo dormire sonni (quasi) tranquilli.