UN CASO DI COSCIENZA 4 – Chi non vorrebbe vedere assicurato a un equo processo il colpevole di uno sporco caso di criminalità? Non sempre, ascoltando il telegiornale o leggendo il quotidiano, si ricevono buone notizie in tal senso. Talvolta, però, arriva la fiction a dare risposte alla sete di giustizia cui – in alcuni casi – si sottrae il Sistema Italiano.

Ci hanno pensato, per sei puntate in onda su Rai Uno dal 13 dicembre sino a ieri sera, lavvocato Rocco Tasca (Sebastiano Somma) e la sua socia Alice (Loredana Cannata), lamico detective Virgilio (Stephan Danailov) ed Erica (Barbara Livi), medico legale e moglie di Tasca.

Il pubblico sembra avere gradito, accordando fiducia crescente alla serie diretta da Luigi Perelli, incentrata su un gruppo di professionisti che fanno della giustizia vera – e non della gloria – il loro obiettivo di vita. Si, perché allo studio Tasca vengono accolte prevalentemente vittime di ingiustizie sociali, schiacciate dallo strapotere delle banche o delle assicurazioni oppure bersagli di atti di malasanità o di bullismo estremo.

Tutti casi di coscienza raccontati in episodi da 90 minuti, apparentemente una novità nel panorama seriale italiano (di fatto un formato riesumato dagli anni Novanta), abituato a prime serate di due puntate da 45-50 minuti. Potrà sembrare una sottigliezza porre in evidenza la particolarità di questo formato, ma forse non lo è se si pensa alla rete della messa in onda, Rai Uno, e al conseguente pubblico di destinazione, tendenzialmente adulto (over 55).

Uno spettatore che non solo è sensibile alle tematiche proposte, ma che evidentemente gradisce una narrazione non troppo veloce ed ellittica, come talvolta è quella americana, ma sobria, comprensibile ed in grado di intrecciare con equilibrio tutte le linee narrative proposte (da quella che colpisce personalmente lavvocato Tasca e che si è sviluppata nel corso delle sei puntate a quelle che si sono esaurite nel singolo episodio).

 

Il formato, però, non basta a giustificare i numeri crescenti dei dati auditel (dal 20.8% della prima puntata al 22.9% del penultimo episodio). Ci sono almeno due fattori nel “concorso di colpa”. La recitazione, per esempio. Rispetto a tanta fiction italiana inguardabile, qui gli attori non sono quasi mai retorici o sopra le righe rispetto a personaggi che, di base, sono ben costruiti. Le uniche eccezioni restano, seppur in misura contenuta, Vanessa Gravina, che interpreta il personaggio di Lea, spesso enfatica, Francesco Pannofino, alias Randazzo, non molto realistico nel lacrimevole senso di colpa che ci ha regalato ieri sera.

 

Per non parlare dell’esibizione gratuita e senza equivoci che Loredana Cannata offre del proprio corpo nudo.

 

Evidentemente, poi, ci sono anche i contenuti, simili e allo stesso modo tanto diversi da fiction di generi affini. Il grande nemico, qui come altrove – si pensi a Distretto di Polizia, Ris, Don Matteo, Il Commissario Coliandro solo per citarne alcuni – è la criminalità. La differenza tra questi polizieschi e il nostro legal – drama è che i primi raccontano semplicemente l‘inseguimento e l’arresto del “cattivo”. Un caso di coscienza, invece, va oltre, mostrando al suo pubblico tutto quello che succede dopo, il processo e la scritta della sospirata parola fine ai soprusi subiti dalle vittime. Questo, forse, è l’aspetto più attraente della serie e che ha spinto la media dei 5 milioni di spettatori a sedersi sul divano per seguire le vicissitudini dell’avvocato Tasca.

 

In un’epoca in cui tutto sembra relativo, anche il sistema giudiziario, guardare sullo schermo televisivo una storia che racconta la possibilità che i “cattivi” paghino effettivamente sembra rassicurante. Oltre al fatto che questa serie tratta il tema della denuncia sociale con sufficiente verosimiglianza, varcando i confini dell’irreale solo nella costruzione della macchinosa strategia con cui l’avvocato Francesca Canevari (Imma Piro) trama ai danni di Tasca, linea, quest’ultima, decisamente soggetta alle regole della finzione.

 

Il problema della giustizia, dunque, viene declinato attraverso due modelli: quello rappresentato dallo studio Tasca, dedito alla difesa di chi è vittima reale, e quello dello studio Canevari, il cui principio di legalità risponde al profumo dei soldi e dei soprusi sociali fino a sconfinare nella corruzione e nella criminalità. Due facce di una stessa medaglia che non sono sempre frutto dell’invenzione.