Solitamente la riedizione hollywodiana di film europei non è mai una buona idea. Brothers, parziale remake del melò danese Non desiderare la donna daltri, nonché ultima regia di Jim Sheridan (a noi noto per lavori come Nel nome del padre) sembra sfuggire a questa regola. Almeno in parte. Mancando di tensione emotiva in più punti, il film non è certo lappassionante triangolo amoroso propagandato dal marketing, ma finisce per proporre qualcosa di diverso e forse più originale: una pregevole indagine sociale dellAmerica contemporanea, condensata nelle vicende dei suoi personaggi principali, straordinariamente interpretati da Natalie Portman, Tobey Maguire e Jake Gyllenhaal.



La vita di Sam (Tobey Maguire) è una collezione di successi: passato da studente modello e giocatore di football, ha sposato Grace (Natalie Portman), fidanzatina del liceo; insieme, costruiscono la famiglia americana esemplare, dove si ringrazia il buon Dio prima di addentare le pannocchie al vapore.

Non solo: Sam, vero patriota, lavora per lesercito. Il film si apre con la sua partenza in Afghanistan; questa volta, però, la trasferta non va come previsto: lelicottero di Sam viene colpito e lui dato per morto.



In patria, nel frattempo, ha fatto ritorno a casa il fratello di Sam, Tommy (Jake Gyllenhaal); ex galeotto, facile alla bottiglia, gli viene riservata unaccoglienza fredda e diffidente.

Arrivata la notizia della morte di Sam, la famiglia deve affrontare un vuoto scioccante; Tommy comincia così a prendersi cura di cognata e nipoti nel tentativo di redimersi.

 

Vuoi per solitudine, per dolore, per confusione, tra il fratello superstite e Grace c’è prima un bacio e col passare dei giorni il presentimento di qualcosa di più.

Qui, colpo di scena, ricompare Sam: fatto prigioniero dai talebani, ha subito torture crudeli, che lo hanno radicalmente cambiato; non è più il marito amorevole e padre affettuoso di una volta, ma un uomo distrutto dagli orrori visti e patiti.

 

Un punto a sfavore del film è l’aver mal amministrato la storia d’amore tra Grace e Tommy, che resta solo abbozzata; se non è mai chiaro cosa ci sia realmente tra i due, è al contrario lampante che il mistero non dipende da un puntuale intento di Sheridan, ma da un’imprecisione di sceneggiatura. Un tratteggio più accurato dei bouleversements sentimentali dei due avrebbe consentito una maggiore immedesimazione dello spettatore.

D’altro canto, la mancata love story cede il passo a qualcosa di più interessante e inconsueto per il pubblico europeo: uno spaccato di vita americana e l’indagine sui traumi di un reduce. La vicenda personale della famiglia diventa il pretesto per un’interessante denuncia sociale e un commovente atto d’accusa contro la guerra.

 

Sheridan tenta di scoprire se e quanto sia possibile tornare a una vita fatta di abitudini semplici e routine, dopo un’esperienza come quella vissuta da Sam; in questo Maguire, col suo sguardo stravolto e visionario, la sua magrezza penosa, è veramente toccante.

 

 

Chiedendo più volte ai suoi superiori di far ritorno in Afghanistan, Sam ci mette davanti agli occhi l’impossibilità di tornare a una vita normale e di ritrovare lo sguardo che aveva prima, lo sguardo dei suoi familiari.

 

In questo senso, Brothers si muove sulle tracce di film come Forrest Gump e Nato il quattro luglio; il ritorno dalla guerra dei soldati traumatizzati e abbandonati a se stessi è uno dei problemi più scottanti di questi ultimi anni negli Stati Uniti. Per un reduce non c’è più alcuna possibilità di scendere a patti con la realtà: per quanto grande possa essere l’amore dei propri cari, l’unica occasione di vita resta la ricerca di una via di fuga.

 

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