Il proverbio avverte di scherzare coi fanti e lasciar stare i santi. Un po datato forse, ma saggio. Coi santi è difficile scherzare in modo intelligente; loro, quando sono presi di mira in modo stupido, si prendono la rivincita e pochi ridono. Succede anche al film La Passione, di Carlo Mazzacurati, da poco nelle sale.

Di passioni, tiepide in verità, ce ne sono molte in questa storia: quella del produttore senza film, quella del regista a corto di idee e di soldi, quella dellattore narciso di turno, quella campanilista del sindaco, quella della barista polacca per un pianista. Non cè invece La Passione, quella che dà il titolo al film, ridotta comè a pretesto per raccontare altre storie; non cè se non come rievocazione in costume, che non tocca nellanima nessuno, come una giostra.

Raramente capita di vedere un episodio centrale della storia di Cristo, della storia tout court, così privato anche della più fievole religiosità, persino impreciso nel riferimento al testo evangelico. Una rappresentazione del giovedì e del venerdì santo così banale da non poter neppure essere considerata blasfema, ridotta comè a merce di scambio per evitare al protagonista, un deludente Silvio Orlando, la denuncia per aver danneggiato un affresco del Cinquecento con le perdite dacqua della sua casa.

Se il pubblico avesse un po più di sangue nelle vene, oltre che il senso della fede dei padri, non si lascerebbe abbindolare da un pugno di intellettualini, quali sono gli autori di questo film e i suoi produttori, tra cui figura Rai Cinema: gente che gioca con il sacro, usando furbescamente la sua potenziale presa sulla gente per strappare qualche biglietto in più.

E se qualcuno in sala ride, cè anche chi si indigna per la cialtroneria del prodotto, che si sforza invano di essere ironico, ma non ce la fa. Al massimo tocca il livello della farsa. Non lo salvano né la cifra grottesca dei personaggi, né lambientazione in un suggestivo paese del centro Italia, né la figura positiva dellex-ladro costretto a fuggire e poi prevedibilmente, ma inspiegabilmente presente nelle ultime scene, né qualche trovata simpatica, come quella di far scrivere le parti del Vangelo ai ragazzi della scuola elementare per ovviare alla rottura delle fotocopiatrici.

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Non bastano pochi dettagli, perché è la concezione stessa del soggetto a essere brutta, priva di un centro, piena di episodi appena abbozzati e distraenti, che vorrebbero forse rappresentare certi ambienti della provincia italiana, senza riuscirci. Per raccontare le frustrazioni di un regista in crisi e le velleità delle mezze figure del suo mondo non era necessario ricorrere, con una sorta di incastro, all’idea di riprodurre la Passione. Se si voleva invece insistere sulla sua parodia, allora le si doveva dedicare uno spazio diverso e una maggiore cura. Occorreva scegliere. Non averlo voluto fare rende questo film un impiastro.

 

Il lettore permetta un consiglio. Se vuole ridere, ha a sua disposizione tanti film comici, tanti attori famosi, di ieri e di oggi. Se vuole qualcosa di diverso, che parli veramente della passione di Cristo, ma anche della passione dell’uomo, il numero si restringe, ma ci sono lo stesso parecchie possibilità. Per una volta sia laico, bandisca dal suo orizzonte la commistione degli stili così cara ai Vangeli. E non vada a vedere La Passione.