Chiunque sia andato oltre i primi tre libri e film della saga che ha reso famosa (e molto ricca) la scrittrice inglese J.K. Rowling, sa che Harry Potter è molto più che una storia per bambini. Le tinte fosche del quinto e del sesto film continuano e si intensificano nel settimo, diviso in due parti per rimandare il momento in cui mettere un punto alla saga che ha segnato il ritorno alla lettura dei ragazzini (e forse anche di qualche adulto).

Avevamo lasciato Harry Potter in cima alla torre più alta di Hogwarts con gli inseparabili Ron ed Hermione, dopo la tragica morte del preside (e mago) Silente uno dei pilastri della storia e della vita di Harry e la scoperta di dover portare avanti da solo la missione di distruggere il cattivo dei cattivi, Voldemort, negromante modellato sulla figura di Hitler, che ha diviso la sua anima in sette parti commettendo altrettanti omicidi per garantirsi limmortalità. Harry, orfano di genitori e affidato a dei parenti che è meglio perdere che trovare, vedeva in Silente una guida, un padre, un maestro, un modello.

Che succede quando il punto di riferimento nella vita di un adolescente di 17 anni scompare? Bisogna fare i conti con se stessi, con le proprie risorse. Bisogna imparare ad arrangiarsi da soli e a ridimensionare il modello stesso, che non è perfetto come si credeva.

Il regista David Yates dirige un film molto fedele al romanzo (forse fin troppo), scandito dallalternarsi di momenti di commozione, dramma, tensione e qualche pausa, in cui maestosi scenari inglesi prendono il sopravvento sullazione. Non mancano dei tocchi marcatamente dark e horror (più una brevissima scena passionale) che confermano il sospetto sul target: questo è un film per adolescenti (i fan cresciuti con il maghetto), più che per bambini. Daltronde, già il titolo Harry Potter e i doni della morte indica che non siamo di fronte a una fiaba Disney, ma a una storia in cui cè spazio anche per la tragedia.
 

Di certo la Rowling ha scritto uno dei migliori libri per ragazzi in circolazione, una storia di formazione che affronta temi quali la ricerca della propria identità, il senso della morte, il rapporto tra destino e libero arbitrio, l’importanza della famiglia e dell’amicizia. Il legame profondo che lega il trio Harry-Ron-Hermione raggiunge il suo culmine e la sua crisi in questo settimo capitolo, dove non ci sono più le mura protettive della scuola a contenere gli scontri e gli incontri, né gli incantesimi di Madama Chips (l’infermiera che tutti vorremmo avere) a guarire le ferite.

I tre ragazzi devono lasciare il nido e volare da soli, come nel classico viaggio dell’eroe. Ron, l’eterno secondo, l’adolescente che ha sofferto il peso di avere davanti a sé molti e più brillanti fratelli e un amico più famoso di lui, fatica ad accettare il cambiamento e le scomodità della missione di Harry. Voldemort gli fa paura, le cure della premurosa mamma gli mancano, è geloso di Harry e del suo rapporto con Hermione.

Dal canto suo, Hermione non è più la “so-tutto-io” di un tempo, ma una strega brillante, tosta e assai graziosa, che non abbandona mai Harry ed è la vera mente del gruppo: il settimo film comincia proprio con lei, che trova il coraggio di far dimenticare ai propri genitori di avere una figlia per allontanarli e proteggerli dal pericolo.

Per girare l’epilogo di Harry Potter ci sono voluti 280 giorni di riprese (nei Leavensden Studios appena fuori Londra, trasformati in una vera e propria scuola di magia) e il risultato è indubbiamente spettacolare. Gli effetti speciali non si contano, tra scene di volo e trasformazione dei personaggi, ma si sente la mancanza di Hogwarts con i suoi passaggi segreti, i volumi polverosi, i dormitori e tutte le meraviglie del castello incantato.

Già, perché la trovata geniale della Rowling è stata quella di trasformare l’esperienza scolastica in un’avventura che, pur conservando i meccanismi reali – insegnanti più o meno rigidi o comprensivi, compiti da fare, esami da superare, conflitti di classe – ha un fascino indiscutibile: incantesimi, scale che scompaiono, quadri che si muovono, cappelli parlanti, tavole imbandite, burro-birra e caramelle repellenti per i nemici…

Quale ragazzo non sognerebbe una scuola del genere? Eppure, le invenzioni magiche della storia nascondono non solo un infinito patrimonio di leggende, simboli e metafore, ma anche riferimenti forti alla realtà. Voldemort e i Mangiamorte, sottomessi con promesse di potere ma soprattutto con il regime del terrore, alludono ai governi dittatoriali, dove la libertà di stampa e di pensiero è totalmente annullata; il sistema di “pulizia razziale” instaurato a Hogwarts, dove i “mezzosangue” (persone dotate di poteri magici ma figli di maghi e umani, o di umani soltanto) sono considerati inferiori, rispecchia la filosofia nazista. 

Ciò che i film non riescono del tutto a restituire, ma che distingue il romanzo dai tanti fantasy sul mercato, è la complessità del personaggio di Harry: lungi dall’essere l’eroe senza macchia, il buono che non si piega mai, Harry Potter ha mille sfumature. È bravo a scuola, ma non si impegna veramente; è coraggioso e generoso, ma trasgredisce le regole; è pronto a sacrificarsi per gli amici, ma anche a puntare il dito contro i nemici; lotta per il Bene, ma condivide con Voldemort inquietanti somiglianze e tratti comuni.

Forse il senso dell’intera storia di Harry Potter si riassume in una frase che Silente disse ad Harry alla fine del secondo volume: “Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente, molto più delle nostre capacità”. Il tema della scelta è la vera linea guida delle avventure del maghetto dalla cicatrice sulla fronte, ed esploderà in tutta la sua forza nel vero e proprio epilogo… per vedere il quale dobbiamo aspettare la fine del 2011.