Il 17 dicembre uscirà nelle sale cinematografiche La bellezza del somaro, per la regia di Sergio Castellitto e sceneggiato da Margaret Mazzantini. Una storia corale che porta il volto degli attesi e singolari ospiti approdati nella casa in campagna della famiglia Sinibaldi. Vite, esperienze, punti di vista che si intrecciano e si scontrano creando unatmosfera da commedia degli equivoci, ma lasciando, al contempo, una melanconica riflessione sulla giovinezza, sulla vecchiaia e sulla fragilità della generazione di mezzo.
Noi abbiamo avuto il piacere di incontrare Lidia Vitale, che su quello stesso set ha interpretato il ruolo di Delfina, nella vita inviata di guerra.
Nata come attrice di teatro, Lidia è approdata successivamente al piccolo e al grande schermo, cimentandosi, solo per citare degli esempi, ne I delitti del cuoco, Don Matteo 4, Incantesimo 7, Medicina Generale nel primo caso, e in La meglio gioventù, Anche libero va bene, Two families, La notte, nel secondo.

Cosa significa essere attore oggi in Italia?

A parte avere problemi economici? Sicuramente ci vuole più determinazione di prima, sviluppare un forte io (non ego) e bisogna avere la consapevolezza che per creare valore dobbiamo unirci e continuare a creare. Cercare di essere attori sempre più vendibili anche allestero e avere fede

Fare lattore è un work in progress prima di tutto su se stessi, poi in relazione alla sceneggiatura e al personaggio. Come cambia se cambia la preparazione per interpretare un ruolo al cinema, a teatro, in tv? In particolar modo, qual è la differenza tra cinema e fiction TV?

Per quanto mi riguarda cambia il mezzo e il modo di rapportarsi ad esso, per il resto per me la creazione di un personaggio è un lavoro a tutto tondo sempre: un personaggio nasce, vive nellarco della sceneggiatura. A volte muore e altre continua a vivere nellimmaginario dello spettatore.

Quale ambiente trova più confacente alle proprie inclinazioni, quello cinematografico o televisivo?
 

Amo la “macchina”  chiamata cinema. Sono laureata con una tesi sui Sistemi Produttivi dell’Audio Visivo in Australia. Mi ha sempre affascinato. Amo veder muovere tutte quelle persone intorno mentre dentro incessante si muove la mia creatività senza apparentemente curarsi del resto. Mi piacciono i binari, i carrelli, i dolly, le aste del fonico e lo Stop del regista. Mi piace il silenzio che si crea in un attimo da quella confusione che sembra non avere fine. Mi piace che ci si muove come una carovana a volte…

Con quale genere ama confrontarsi maggiormente?

Mi scelgono sempre per far piangere o per fare la donna tutta di un pezzo…quindi la maggior parte delle volte resto confinata nel dramma…non nego che mi piacerebbe aver a che fare anche con la commedia…e perché no con l’azione!

Come ha affrontato il personaggio di Delfina?

Ero spaventata. Mi sembrava inafferrabile. L’ultimo giorno che ho lavorato con la mia coach (Doris Hicks) per preparare il personaggio, non ne avevo ancora azzeccata una e mancava poco all’inizio delle riprese. Poi mi hanno decolorato i capelli fino al grigio…ero un’altra e il lavoro fatto in precedenza ha cominciato ad operare. Nel frattempo avevo scelto come “musa” ispiratrice Oriana Fallaci. Ho letto tutti i suoi libri. Quando sono arrivata in Toscana ho capito che potevo permettermi di essere solo Delfina e ho vissuto per lo più come fossi lei (sai che simpatia per chi mi aveva intorno!) anche perché facevano veramente tutti ridere troppo e se non fossi rimasta ancorata a quel caratteraccio sarei scoppiata a ridere ogni minuto.

Una pagina di sceneggiatura non è solo un foglio bianco coperto di parole. E’ un fluire di emozioni in cui si intersecano la psicologia e gli umori di chi scrive, di chi dirige e di chi dovrà interpretare quella scena. Alla luce di ciò, com’è stato lavorare su un testo della Mazzantini ed essere diretta da Castellitto?

 

Sono una gran coppia artistica. Il maschile di Sergio che come tutti gli attori ha anche un gran femminile è un maschile molto intelligente e sa farsi ispirare dal femminile di Margaret che nella scrittura, a tratti, assume carattere maschile. Una bella sinergia. Sergio è un bravo attore e quindi sa di che pasta siamo fatti. Chissà come si è trovato lui a girare con una fifona come me che ha fatto la dura tutto il tempo?

Che atmosfera si respirava sul set? Quale genere di rapporto si era instaurato con gli altri attori? Aneddoti particolari?

Un’atmosfera deliziosa, quasi unica se non rara. La Val d’Orcia di scenario, un gruppo di professionisti ed esseri umani ben assortito. Una grande armonia e il piacere e la voglia  di realizzare qualcosa di bello. Aneddoti? Siamo stati benissimo e abbiamo mangiato anche troppo…

Ogni lavoro è un’esperienza a sé. Qual è stato, fino ad ora, quello che ha avuto maggior impatto su di lei?

Hai detto bene, ogni film, ogni set è un’esperienza a sé. Ti regala qualcosa, è una parte del percorso senza fine nella vita dell’attore. Finché sentirò questo vorrà dire che sto vivendo a pieno la mia vita e questo lavoro. Sicuramente la Meglio Gioventù è stata una grande esperienza, perché era la prima importante ma ancora oggi quando inizio un progetto sento le stesse cose, la stessa emozione, lo stesso entusiasmo, la stessa paure, le stesse insicurezze (stesse si fa per dire…hanno una gran capacità di rinnovarsi ogni volta!), la stessa gioia.

Quali sono i progetti per il futuro?

Intanto mi godo l’uscita della bellezza del somaro, di Prima della Felicità di Bruno Gaburro e di Una Musica Silenziosa per la Rai di A. Lo Giudice…speriamo nel frattempo di firmare un bel contratto, ti chiamo e aggiorniamo questa intervista! Spero siano belli come tutti i progetti a cui ho partecipato finora.