Favola o realtà? Scusa, ma ti voglio sposare è entrambi. la favola del principe azzurro, che qui si porta via la principessa a cavallo di una motocicletta, ma è anche laffresco di un popolo di quarantenni fragili e bambini che hanno dimenticato cosa sia lamore. Tutti tranne uno.

Il film inizia da dove era finito Scusa, ma ti chiamo amore. Il faro, due cuori e unisola felice. Questo sono Alex, importante pubblicitario quarantenne, e Niki, ventenne al primo anno di università: il desiderio di costruire qualche cosa insieme, nonostante le età così diverse. Una casa nuova, amici sullorlo di una crisi sentimentale, lottimismo e la spensieratezza che solo lamore pardon, lAmore ti può dare.

Mentre tutti attorno a loro crollano, Alex e Niki restano in piedi, nonostante il germe della gelosia e le differenze generazionali che scorrono tra quei ventanni. Fino a quando la paura per un passo troppo grande, troppo definitivo, fa rompere qualche cosa tra di loro.

Scusa, ma ti voglio sposare non è solo amore. anche una piccola un po scardinata – finestra sulla realtà contemporanea. Due generazioni a confronto. Alex e Niki, gli amici di lui e le amiche di lei. I primi, splendidi acciaccati quarantenni con un lavoro e una famiglia rovinata da una scappatella di troppo o da una moglie che ha preso il via lasciando il marito e la figlia. Sembra che ormai, fatto il giro di boa dei non più trentanni, si siano lasciati il futuro alle spalle. Che sia colpa della routine o del tradimento, si rompe lincantesimo della pseudo felicità familiare e loro si ritrovano a vivere in un limbo di idiozia.


 

Come se fossero davvero convinti che la libertà stia nel vivere come un eterno Peter Pan contemporaneo, tra cocktail e donne a pagamento, mentre, nonostante la rispettabile età, non hanno ancora capito che la vera libertà sta nel fare delle scelte.

 

Paura d’amare. Perché amare significa rinunciare a se stessi? O perchè amare vuol dire condividere qualunque cosa – volendo anche la propria vita – con un’altra persona? Questo è l’unico elemento che gli amici di Alex hanno in comune con le O.N.D.E, cioè Olly, Niki, Diletta, Erica. Sono quattro, hanno vent’anni e una vita davanti da costruire. Olly, super impegnata come stagista presso una casa di moda.

 

Erica, la più svampita del gruppo, che flirta con un insegnante all’università, Diletta, che tra poco diventerà mamma – con una ventata di ottimismo che mal si concilia con l’ultimo cinema italiano non abortisce e non viene abbandonata dal fidanzato -, e Niki che sta per sposarsi.

 

Hanno una marcia in più: la freschezza di un’età che non torna più, la genuinità, la limpidezza dei sentimenti. Non c’è grigio. Può essere solo bianco e nero. Questo, però, è l’amore delle favole, dove c’è una principessa da salvare e un principe che supera mille ostacoli pur di trarla in salvo.

 

Cosa ci vuole dire Moccia? Che passati i trent’anni sei troppo assorbito dalla vita per vivere i sentimenti? Bhè, che sia o no così, avrebbe potuto darci una soluzione migliore.

 

Certamente raccontare che cosa sia l’amore per un quarantenne è anche un’operazione commerciale, oltre al fatto che il film, com’è ovvio, è uscito all’antivigilia di San Valentino. Ha significato allargare la fetta di pubblico dedito a Moccia. Non più solo teenagers, ma anche adulti amanti dei sentimenti spicci che prima andavano a vedere un suo film di nascosto, ora, invece, possono farlo allo scoperto. Perché il film parla di loro.

 

 

Quella raccontata dal regista, però, è solo un’apertura marginale sulla realtà, quella della borghesia romana. È anche questo che rende piccolo e provinciale il film, impedendogli un ampio respiro – anche se siamo convinti che il regista non avesse intenzioni di magnificenza. Avrebbe potuto parlare dell’amore a tutti, colti e non colti, uomini e donne. Avrebbe potuto fare emozionare, raccontando una passione “universale”. Avrebbe potuto.

 

La storia, invece, non è da Oscar, è piuttosto semplice, addirittura banale, ma la forza di Federico Moccia sta proprio nel saper usare la linearità per comunicare con il suo pubblico. Personaggi stereotipati, meccanismi intuitivi, complicazioni harmony che si sciolgono con un bacio. Non inventa nulla di nuovo, non regala un’avventura indimenticabile o un’emozione diversa al club delle storie d’amore.

 

Si mantiene sulla linea della mediocrità, che comprende anche le scelte attoriali. La sua ricetta, però, fino ad ora è stata vincente, da sale piene, e non richiede molti ingredienti: una love story da manuale, fatta di contrasti, raccontata con parole, strutture, sentimenti semplici e freschi. Immediati.

E alla fine resta un solo messaggio: tutti abbiamo bisogno di amare.