Senza lode e senza infamia, Io e mio figlio si lascia guardare. Certo, con il 19.9 % di share, ed esclusivamente alimentato dal pubblico affezionato a Rai Uno (over 55). Perché, è un dato di fatto, questa serie in 6 puntate non aggiunge nulla di nuovo al genere poliziesco. Anzi, il ritmo delle indagini è piuttosto lento e gli indizi sono raccolti accompagnando lo spettatore per mano.
Questo perché il vero cuore pulsante non sono le due linee gialle che si intrecciano nella storia quella che si sviluppa nellarco della singola puntata e quella che si conclude al termine della serie -, bensì il Commissario Vivaldi. Burbero e sicuro di sé, Vivaldi e la sua famiglia sono al centro delle vicende.
La moglie Laura, da cui è separato, e il figlio Stefano, che lo affianca sul lavoro e vive sotto lo stesso tetto. Oltre ai casi da risolvere, tutti legati alla cronaca, il commissario ha ben altre beghe da sbrogliare. In primis cercare di riconquistare la ex moglie, che si è allontanata da lui ed ora è attratta dalle avances di un giovane uomo. In secondo luogo, imparare a conoscere suo figlio, due generazioni a confronto e anche due modi diversi di concepire la vita.
Due poliziotti, Vivaldi e il figlio Stefano, ma profondamente diversi. Stefano è razionale, spesso legato a schemi e a logiche secondo cui ogni conto dovrebbe tornare, mentre Vivaldi è impulsivo e sa guardare oltre. Sarà lesperienza che lha reso così, oltre che duro e irreprensibile.
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In fondo, però, è un uomo di sentimento, che pone valori fondamentali quali l’amicizia e l’amore davanti ad ogni cosa. Anche se la sfida più dura è accettare che lo stesso Stefano, già fissata la data delle nozze, abbia svelato la propria omosessualità. Un tema ardito per Rai Uno o semplicemente un modo per stare al passo con i tempi?
Sarà, ma al di là di Vivaldi, che ha un suo perché, gli altri personaggi sembrano usciti da Alice nel Paese delle Meraviglie. Tutti giovani e abbastanza ingenui, sempre pronti a imparare dal commissario, che, sarà uomo d’esperienza, ma se non ci fosse lui a Trieste tutti i delitti resterebbero irrisolti.
Un poliziesco che racconta due diverse generazioni, dunque, ma questo non basta a far decollare la puntata, che richiede una soglia di attenzione decisamente bassa. Sia per il ritmo, lento, sia per i dialoghi semplici e anche troppo espliciti. Per non parlare della recitazione, non a prova di Oscar. Anche se, a onor del vero, in giro c’è di molto peggio e Lando Buzzanca, nei panni di Vivaldi, strizza l’occhio ai suoi fan.
Insomma una produzione con cui la prima rete non vuole abbandonare i suoi aficionados, come se la mediocrità dell’attuale televisione italiana mettesse in pericolo un martedì sera qualunque.