Il tempo scorre e uno di noi – profiler a caccia di serial killer – sta per essere ucciso da un SI (soggetto ignoto). uno dei peggiori e non si fermerà fino a quando non avrà distrutto Hotchner, il nostro capo.

Una bomba a orologeria. Questo è lesordio della quinta stagione di Criminal Minds, la serie con cui Jeff Davis rivoluziona il genere poliziesco e che, nonostante siano passati cinque anni dalla prima messa in onda, continua a stupire. Nello stile, che non ha subito cadute, nel ritmo, fluido e che lascia senza fiato, nella scrittura, meravigliosamente raffinata e mai inopportuna, nel tono, che si preannuncia diverso dalle altre stagioni.

Da una parte il Male e la malattia e dallaltra il Bene e la giustizia. Il Bene: i nostri eroi (Aaron Hotchner, David Rossi, Emily Prentiss, Derek Morgan, il Dr. Spencer Reid e Jennifer Jareau) che fermano la mano dellSI disegnandone il profilo sulla base della scena del crimine, della tipologia di vittime, del comportamento avuto nellatto criminoso.

Come se bastasse. I profiler devono commettere lo sforzo più grande, ovvero immedesimarsi nella mente del serial killer e intuirne le mosse future. Ultimo atto: lassassino contro uno dei nostri uomini. Annientare lSI usando la mente e la psicologia, studiando le sue debolezze e usandole contro di lui. Ora, però, stiamo ancora parlando solo del Bene.

In questo risiede la più grande rivoluzione di Criminal Minds. Perché il Male è molto peggio, molto più crudele. Parla attraverso uomini o donne malati. I nostri agenti non vogliono solo impedire che altro sangue sia versato, ma anche salvare lSI da se stesso. Il soggetto ignoto non uccide per cattiveria, ma per liberazione emotiva e per appagare un desiderio intimo di cui è prigioniero, che non si esaurisce, ma si alimenta. Per questo va trovato e aiutato. Lunico modo per farlo è batterlo usando la sua stessa arma: la mente.

Il serial killer, dunque, non è colpevole. la sua mente malata a guidarlo e ciò, in parte lo affranca. Ma allora che cosa determina la colpevolezza di un criminale? In base a cosa è possibile giudicarlo e qual è il confine tra bene e male? E se i nostri profiler, che sono eroi positivi, sconfiggono lSI anche grazie a un processo di identificazione, questo può voler dire che noi tutti siamo, in fondo, potenziali assassini?

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Questa prima puntata conferma, rispetto alle serie precedenti, che la forza dei nostri agenti risiede nell’unità del loro gruppo. Ben due, Hotchner e Reid, rischiano di perdere la vita, ma non c’è spazio né tempo per il panico. Quando a essere in pericolo è qualcuno di loro, l’efficienza e la voglia di riuscire diventano ancora più forti. A tal punto che non esiste altro, oltre il lavoro. Ci sono solo fantasmi di vite passate lasciate indietro per paura di affrontarle.

 

Quanto succede a Hotchner in questo primo episodio – il rapimento, la tortura da parte dell’SI, la minaccia di morte alla ex moglie e al figlio – ne è la conferma. Come fai ad avere una famiglia se tu stesso sei la firma di una morte certa per loro? Sei dalla parte del Bene, ma il Male ti perseguita e non ti lascia in pace nemmeno nei sogni.

 

A volte, però, come nel caso di Reid o di Morgan, la storia è diversa. Non c’è tempo per il privato o è più facile proiettarsi nella mente dei criminali, piuttosto che affrontare i propri demoni? Poco meno di trent’anni e un carnet infinito di lauree e di dottorati fanno del giovane Reid un genio, ma la sofferenza per una madre che vive in un istituto per menti malate e che non si ricorda di lui rende più semplice risolvere i casi degli altri. Per Morgan, invece, sono le violenze subite da bambino che hanno fatto montare la rabbia esplosa in questo lavoro.

 

È possibile essere un buon profiler senza che il proprio equilibrio interiore o la propria vita privata ne risultino compromessi? “Questo lavoro nel tempo ti logora”. Così Morgan riassume la fatica del mestiere, che ti conduce davanti a uno psicopatico che nel migliore dei casi sarà catturato, nel peggiore ucciderà uno della propria squadra.