Di una cosa soprattutto andava orgogliosa: del racconto che Giovanni Testori nel suo libro La Gilda del Mac-Mahon aveva intitolato a lei, Sì, ma la Masiero. Un racconto in cui al mito della Wandissima, lintramontabile Wanda Osiris regina della rivista, gli appassionati che a Milano si accalcavano fino alluna di notte sotto la passerella del Teatro Lirico obiettavano il fascino nuovo e fresco della giovane e bella soubrette, «una specie di farfalla matta, capace delle cose più straordinarie, di farti rotolar dal ridere, quando tira fuori la voce allamericana, o di farti piangere, quando tira fuori il sentimento.



Anni fa, quando lavoravamo alla radio, una volta mi disse che così anche lei era entrata nella storia della nostra letteratura. Quante volte ho scritto il suo nome nei miei copioni prima della sua battuta!

Allinizio era un rispettoso Masiero che presto diventò un famigliare Lauretta, da I compiti delle vacanze in cui laffiancava un garbato e spassoso Paolo Carlini – altro indimenticabile artista cordiale e intelligente, scomparso troppo presto – alle tante edizioni dellAria che tira nella più rivistaiola versione della domenica mattina. Era un piacere stupendo per un autore che scrive ascoltarne la voce che faceva sue arricchendole di verve e ironia le battute, i monologhi scherzosi, gli sketch, le parodie cantate di una radio che voleva divertire, provocare, coinvolgere e -qua e là- far anche pensare, come oggi non usa più.

Così come non usa più, oggi, che un personaggio così famoso e affermato, una diva vera, di quelle che si erano costruite popolarità e successo partendo dalla gavetta, grazie alla propria bellezza, certo, ma anche a indubbie doti e a faticosi anni di lavoro, fosse così semplice e cordiale, così disponibile e scrupolosa, così comprensiva e rispettosa del lavoro altrui.

 

La ricordo puntuale e precisa, attenta alle indicazioni del regista, sempre affiatata e in sintonia con i colleghi, di nome o sconosciuti che fossero. E mai e poi mai quegli show di pretese, di smanie, di scene isteriche, di litigi e piazzate che sembrano indispensabili al pedigree delle odierne artiste televisive di razza (e molto spesso la razza è solo quella canina, ahimè).

 

Ma soprattutto, come del resto in ormai tanti anni di frequentazione dell’ambiente dello spettacolo mi è successo con molti “grandi” tra i più stimati e conosciuti, ho subito trovato in lei considerazione e apertura nei riguardi di un anonimo giovane autore se non alle prime armi certo non di consumata perizia e senz’altro più intimidito che sicuro di sé. Un’affabilità e un credito che portavano alla familiarità dei pranzi in comune alla mensa della Rai, alle cene tutti insieme nelle trattorie sul Naviglio o sotto la Mole, alle telefonate, agli inviti a casa, talvolta anche alle confidenze più private…

 

E dire che io, che per ragioni anagrafiche mi ero perso l’occasione di essere uno degli innamorati della soubrette sulla passerella del Lirico come Testori, fino a non molto tempo prima ero solo uno dei tanti giovani telespettatori che l’avevano conosciuta per la vivacissima Canzonissima ’60 con Tieri e Lonello, quella del “la-la-lala, la-la-lala…”, per Le avventure di Laura Storm, lo sceneggiato in cui da giornalista rosa si improvvisava detective, per Palcoscenico musicale e per Qui ci vuole un uomo di Chiosso e Marchesi di cui era conduttrice e mattatrice.

 

Una gran donna, un’artista dotata, una cara compagna di lavoro… e anche, in alcuni momenti incancellabili, un’amica.