L’altra donna del re è uno di quei film che ci fanno entrare nelle dimore dei protagonisti, chiudono la porta e ci lasciano fuggire soltanto dopo i titoli di coda. Se queste dimore sono fredde residenze di campagna, o la cupa fortezza in cui viveva la monarchia inglese nel 1500, il senso di claustrofobia è inevitabile. Basato sul romanzo di Philippa Gregory, popolare autrice britannica, il film è un ritratto spietato della vita della famiglia Boleyn, che basò la sua fortuna sulla capacità delle due figlie (Mary e la ben più celebre Anna) di ottenere i favori del re d’Inghilterra Enrico VIII.

La storia di Anna Boleyn è ben nota: per averla, Enrico VIII divorziò dalla moglie legittima, Caterina d’Aragona, e spezzò il legame del suo paese con il Papa e la Chiesa di Roma. Disprezzata dal popolo e anche dal re, al quale non riuscì a dare un erede maschio, Anna cadde in disgrazia, fu accusata di stregoneria e incesto e venne decapitata. Il romanzo si concentra sulla vita privata di Anna e, soprattutto, sul rapporto con la sorella minore Mary, personaggio trascurato dalla storia: come diceva Manzoni, è compito della letteratura (e dunque anche del cinema) dare risalto a coloro che i resoconti ufficiali relegano in secondo piano, o ignorano del tutto.

Le due sorelle rappresentano due modi opposti di essere donna: Mary è tenera, docile, trasparente, disposta a sacrificare i propri desideri per accontentare il padre e concedersi al re, di cui conquista la stima. Anna, invece, è furba, scaltra, ribelle e ambiziosa, decisa a non sottomettersi all’autorità paterna e a salire sul trono da legittima regina, anche se questo significa calpestare i sentimenti della sorella.

Le due donne, dignitosamente interpretate da Scarlett Johansonn e Natalie Portman, si contendono il re (uno scialbo e irritante Eric Bana) lottando ognuna con i propri mezzi, mentre sullo sfondo i parenti tessono intrighi per non rinunciare alla ricchezza e al prestigio.

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Non esistono quasi esterni in questo film, dove gli eventi storici (lo scisma con la Chiesa, il malcontento del popolo) vengono appena accennati e tutto si concentra nelle passioni malate dei protagonisti, schiavi delle ossessioni dell’epoca (la necessità di avere un erede maschio, i matrimoni politici, la facilità con cui si distribuivano accuse di tradimento e stregoneria) e dei loro stessi desideri.

Quello che emerge è un mondo freddo, spietato, dove un re può scombinare la scacchiera di delicati equilibri internazionali solo per un capriccio sessuale; dove una donna crede di avere in mano il proprio destino, per poi ritrovarsi schiava, umiliata, condannata a morte; dove i genitori usano i figli come pedine e il rapporto uomo/donna si esaurisce nel sesso, slegato persino dal piacere.

 

L’unica nota di tenerezza, che eleva il film e regala istanti di emozione, è l’amore sincero e disinteressato che lega Mary a sua sorella (“Anna è mia sorella, e dunque ella è una parte di me”): un amore che dà coraggio, rende possibile il perdono e, alla fine, salva colei che lo prova.

 

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Consigliato a chi vuol dare un’occhiata al “dietro le quinte” di una delle epoche più buie della monarchia inglese, qui ritratta dal punto di vista delle donne – coloro che potevano influenzare la sorte di un regno ma anche finire sul rogo per non aver partorito un figlio maschio.

Ma la tragica esistenza di Anna lasciò un segno indelebile nella storia: la figlia avuta da Enrico sarà una delle più grandi regine di tutti i tempi… Elisabetta I.

 

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