Tra lentezze e silenzi carichi dattesa, il regista austriaco Götz Spielmann tesse la trama amara e contraddittoria di una tragedia classica. Un noir in cui le categorie di colpa e perdono, di innocenza e peccato, sincarnano nelle vite offese dei personaggi senza giungere ad alcuna conciliazione.

Alex é un fallito, un ladruncolo della periferia viennese finito a fare il fattorino in un bordello. Tamara é una prostituta ucraina che vive con apatia e rassegnazione le angherie del mestiere.

Tra i due nasce un amore disperato, intriso di speranze frustrate, un vicendevole cadersi addosso nel tentativo di rendere sopportabile la realtà.

La realtà di Tamara è il neon impietoso dello spogliatoio per prostitute, le mani invadenti e violente dei clienti. La realtà di Alex é un progetto di rapina e il sogno di ricominciare una vita con Tamara, lontano dalla sfacelo del presente.

Il luogo prescelto per il crimine é la banca del paesino dove il nonno di Alex, contadino solido e allantica, vive in solitudine allevando bestiame.

La campagna si staglia come il luogo della purezza originaria, del latte appena munto e della messa domenicale. Nel cascinale il nonno coltiva il culto della moglie defunta e suona larmonica per una coppia di vicini, Robert e Susan.

Ma lidillio virgiliano é solo apparenza, nella quiete della cascina dei vicini cova il cancro di un dolore segreto, la sterilità della coppia, il silenzio ingombrante di una stanza per bambini vuota.

E una sterilità carica di simboli, che ricorda il dramma e la grandezza di certe vicende bibliche. Una sterilità attribuita a Robert, poliziotto insicuro e tremebondo, marito amorevole ma debole.

Quando Alex convince la titubante Tamara a tentare il colpo, il fato fa tremare la mano armata di Robert che colpisce la donna in fuga accanto al rapinatore.

 

Nel silenzio del bosco, sotto lo sguardo sanguinante di un crocifisso di legno, si compie l’atto tragico: nelle braccia di Alex solo il corpo inerte della sua unica ragione di vita e un bottino ormai senza scopo.

 

Il rapinatore si rifugia in incognito dal nonno, annegando il dolore e la colpa nello sforzo del lavoro contadino.

 

Il bersaglio della vendetta diventa Robert, ignaro vicino, apparentemente indifferente all’omicidio compiuto, protagonista invidiato di una vita perfetta.

 

L’incontro tra Alex e Susan, la moglie del poliziotto, è il primo volto della vendetta e, al contempo, lo sfiorarsi di due dolori, una complicità nella colpa dai tratti ambigui e sorprendenti.

 

Il cast del film, per lo più sconosciuto al pubblico internazionale, interpreta i conflitti in gioco con intensa sobrietà, ricordando la densità di certi volti dei colpevoli di Derrik.

 

Nell’accostare i toni contemplativi del noir ai ritmi incalzanti del thriller Spielmann conferma lo sguardo che l’ha reso celebre in patria, uno sguardo ricco di nero lirismo.

 

L’apice della tragedia, l’incontro tra offeso e colpevole, vede un ribaltamento dei ruoli. Alex scopre la colpa altrui dentro di sè e il suo dolore nel dolore di Robert.

 

Scopre un destino di peccato e tristezza che accomuna tutti gli uomini, la cui origine é antica.

 

Ma il crescere nella sofferenza non può ancora portare alla nascita di un uomo nuovo e lascia il protagonista impotente.

 

Nessun deus ex machina scende a risolvere i conflitti, all’orizzonte nessun aiuto esterno a soccorrere l’uomo che se ne sta imprigionato nella sua miseria, chiedendone il senso.

 

Come in un’autentica tragedia greca la vendetta arriva, anche se in forme inaspettate e indirette.

 

E il perdono, fiamma flebile nella tormenta del male, non ha abbastanza luce per vincere sulle tenebre e per far rialzar la testa al colpevole afflitto.

 

Il silenzio, vero protagonista di questo film, è innanzitutto assenza di ogni risposta facile e affrettata, primo insostituibile passo sulla strada verso la verità.