Con Raimondo Vianello scompare uno degli ultimi protagonisti di quella stagione dello spettacolo italiano che, più della politica e dei giornali, ha saputo descrivere e interpretare la vera identità dellItalia contemporanea.

Non si può pensare a Vianello senza che tornino in mente Ugo Tognazzi, Walter Chiari, ma anche Campanini, Totò, Sordi e, senzaltro, i più televisivi Mike Bongiorno, Corrado, Enzo Tortora. Tutti loro, dei quali la tv dei reality e dei pacchi ne sente davvero la mancanza, hanno saputo parlare della e alla Italia che, dopo la guerra, si sentiva ristretta in quel serioso, quanto opprimente, schema dellalternativa unica (fascismo/antifascismo).



Tutti loro hanno saputo comunicare quel distacco ironico dalle cose che è il contrario del furore ideologico che riempiva le piazze e puntava il dito contro il nemico di turno. Davvero i Vianello, le Mondaini, i Tognazzi, i Chiari, i Bongiorno hanno fatto più dei politici e degli intellettuali organici ai partiti.

La prova non è solo nel tributo commosso e spontaneo dei parlamentari che si alzano in piedi e applaudono in modo composto alla notizia della scomparsa di Raimondo. La prova è nella memoria collettiva della nostra gente: chi non ricorda una battuta, uno sketch, una gaffe di quella classe di comici e presentatori spesso bollati come qualunquisti? La colpa, infatti, che certa intellighenzia non perdona ai Vianello e alle Mondaini è quella di non essersi serviti della nobile arte della risata per vergare con intento moralizzatore sui vizi e sul costume degli italiani.



 

Scrisse Eugenio Scalfari su Repubblica a proposito della morte di Alberto Sordi: “l’Italia che ci ha raccontato io la detesto”. E come l’Albertone nazionale, anche Vianello ha raccontato quell’Italia “detestabile”, quegli italiani che, finita la guerra, sono capaci di “arrangiarsi” e – senza aspettare pianificazioni politiche dall’alto – ricostruiscono dal basso il tessuto sociale e civile.

 

E senza crucciarsi troppo per quella divisione che, negli anni della contestazione, arriverà addirittura a classificare la vasca di destra e la doccia si sinistra. Ciò non significa affatto disinteresse.



 

Anzi, Vianello e Tognazzi scontarono la censura e la sospensione del loro programma (Un, due e tre) per aver ironizzato sul Presidente democristiano Giovanni Gronchi. È che per loro, come per il pubblico che li seguiva riempiendo i cinema e le sale dei bar con la tv, la politica non è tutto. Da essa non devono discendere graduatorie in nome delle quali ritenere una persona più o meno degna a seconda di chi vota.

 

Quelle pretese assolutistiche, del resto, si sarebbero dimostrate false con la fine della Guerra fredda. Le frecciatine tra Sandra e Raimondo, il sarchiapone di Walter Chiari o il vagone letto di Totò e Castellani, invece, continuano a far ridere e divertire anche le nuove generazioni.

 

 

Sordi, Totò, Tognazzi e Vianello hanno vinto proprio perché nelle loro interpretazioni non c’era alcun astio o boria verso i nostri nonni e i nostri genitori. Hanno vinto perché si accostavano al pubblico con rispetto, quasi in punta di piedi, insegnando a ridere di tutto. Anche dei vizi. Perché della realtà, come del maiale, non si butta via niente.

 

E gli italiani non hanno buttato via neanche Raimondo, un conservatore borghese con un passato persino da repubblichino. Torto imperdonabile nell’Italia seriosa dei blocchi politici.

 

(Matteo Forte)