Con un biglietto di presentazione come la Palma doro di Elio Germano al Festival di Cannes come Miglior Attore (ex aequo con Javier Bardem, protagonista di Biutiful, nuovo film di Inarritu), è arrivato nelle sale italiane La nostra vita di Daniele Luchetti, regista non molto prolifico (suo Il portaborse con Nanni Moretti), ma che dopo linaspettato exploit di Mio fratello è figlio unico si è subito fiondato dietro la macchina da presa per dirigere una storia capace, ancora una volta, di leggere unItalia spesso dimenticata dal nostro cinema.

Germano interpreta il ruolo di un muratore che, dopo aver perso la moglie, è costretto a badare ai tre piccoli figli. Nello stesso periodo, scopre che il suo principale ha tenuto nascosto la morte del guardiano rumeno del cantiere: decide così di ricattarlo e farsi affidare in subappalto la costruzione di una palazzina. Le difficoltà (lavorative e familiari) iniziano da subito a farsi sentire.

La nostra vita ha il difficile compito, come nella migliore tradizione italiana, di raccontare la storia di un singolo e, al contempo, di cercare di raccontare la storia di un Paese cambiato. In parte il lavoro di Luchetti centra il bersaglio, costruendo un atipico film sullelaborazione del lutto, con il preciso scopo di evitare gli stereotipi. E il film ci riesce benissimo, sacrificando in parte limpianto emozionale della storia a favore di unanalisi psicologica approfondita e molto realistica.

Così reale che entrare in contatto con lassoluto protagonista del film è praticamente impossibile (se non in alcuni, bellissimi, momenti di sottile e intricata sofferenza): lempatia tra il pubblico e il personaggio interpretato da Elio Germano è complessa, discontinua, perché il personaggio non è mai né completamente buono o completamente cattivo (e nella stessa misura non cade mai nellabisso o si rialza dopo un duro colpo). Una psicologia complessa che miscela cattiveria e simpatia, amore e odio, con il risultato di trovarci davanti a una persona piuttosto che a un personaggio. Per questo più che un racconto emozionale, La nostra vita è un racconto sociale, forse addirittura morale (ma non nella direzione che potreste pensare).

Non siamo mai sempre buoni o sempre cattivi, sembra suggerirci Luchetti con il suo film, e non è un caso che compaia uno spacciatore disabile (Luca Zingaretti), un imprenditore con rimorsi di coscienza (Giorgio Colangeli) e, per assurdo, anche un sex symbol come Raul Bova che per loccasione si trasforma in un quarantenne single impacciato con le donne. Poi, nel duro percorso dellevitare il già visto, Luchetti compie la difficile scelta di dare agli stranieri il potere di tirare le somme di questItalia: pur con parecchi momenti didascalici e qualche ripetizione di troppo, lidea è certamente da premiare per la capacità di farci riflettere su noi stessi, sulla nostra società e su come, in questi anni, siamo cambiati insieme al nostro Paese.

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La scelta invece di addossare tutte le responsabilità del film a Elio Germano si è rivelata (premi a parte) un azzardo che non premia totalmente la pellicola. Germano è il miglior attore della sua generazione, questo è chiaro, ma forse non ha ancora le capacità e la forza di reggere solo sulle sue spalle novanta minuti e passa di film. Pur regalandoci un’interpretazione da brividi, si ha la sensazione che un maggiore spazio ai personaggi di contorno avrebbe giovato all’economia del film.

 

Con coraggio (anche autoriale), Luchetti fotografa ancora una volta un’Italia dimenticata e nascosta, utilizzando i migliori strumenti che un narratore di storie può avere, ovvero la sincerità e l’interesse nel parlare di quei personaggi. Anzi, di quelle persone.

 

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Trailer fornito da Filmtrailer.com